Scandalo Lazio: Renata Polverini a Ballarò e i politici made in tv

Renata Polverini torna a Ballarò, la trasmissione che l’aveva lanciata nella politica che conta. Ancora una volta ci rendiamo conto di quanto possa essere fuorviante l’informazione in tv: ecco perché dobbiamo sperare nel web

Il titolo più irriverente l’ha pubblicato il Manifesto, che in prima pagina ha scritto a lettere cubitali “Renata Zero”. E la battuta più efficace è di Maurizio Crozza, che ieri per il ritorno della Polverini dimissionaria nella trasmissione che l’aveva lanciata ha chiosato: “Presidente, lei è venuta a Ballarò che non era nessuno e ritorna a Ballarò che non è nessuno”.

Renata Polverini in effetti  è diventato un personaggio politico grazie alla trasmissione di Floris: quando vi ha messo piede da segretario del  trascurabile sindacato di destra, l’Ugl ex Cisnal, non la conosceva nessuno. Ma ha subito bucato il video, tanto da conquistarsi un posto fisso tra gli ospiti del salotto della politica di Rai tre, e velocemente è riuscita a infilarsi tra le facce note della politica nazionale.

I motivi di questo successo televisivo, in tempi (che non sono così sicuro siano passati) in cui il piccolo schermo era il luogo principale e quasi unico del dibattito politico, sono facilmente individuabili: la facilità di parola e di battuta, la telegenia, il sorriso sempre pronto, il simpatico accento romano, l’immagine di donna del popolo, verace e senza peli sulla lingua. Ogni tanto diceva pure qualcosa di sinistra, tipo pronunciare la parola patrimoniale o tassa sulle rendite finanziare, il che le ha fatto conquistare simpatie anche dall’altra parte della barricata, e tra le femministe, sempre un po’ troppo disinvolte nel promuovere qualsiasi politico del gentil sesso.

Oggi, di fronte al disastro della sua esperienza politica, è facile riconoscere come per scegliere un amministratore sia un po’ troppo ingenuo, per non dire demenziale e irresponsabile, affidarsi a caratteristiche quali la simpatia romanesca e il venire bene nelle inquadrature televisive. Purtroppo però, quasi necessariamente, per la conformazione del mezzo, sono questi gli elementi che operano nella selezione della classe dirigente ai tempi della democrazia televisiva, in cui l’informazione deve essere veloce, ripetitiva ed efficace come uno spot pubblicitario e dove conta più l’immagine della sostanza.

Non è un fenomeno solo italiano, studiosi di tutto il mondo nei diversi paesi occidentali hanno notato gli stessi processi di selezione dei politici – sempre più simili a quelli di un casting per uno show televisivo – in cui va avanti chi appare spigliato e carino piuttosto che chi è serio e competente. Ovviamente in Italia, dove alcuni partiti non hanno esercitato nessun controllo e si sono messi a candidare veline e coatti, la cosa è degenerata fino ad esiti paradossali.

Ammesso, e concesso fino a un certo punto, che la democrazia televisiva stia lasciando il posto alla democrazia del web, forse c’è qualche motivo per essere ottimisti. L’informazione sulla rete infatti è strutturalmente diversa da quella della tv: è basata sulla parola scritta più che sulle immagini, tende all’approfondimento più che alla sintesi e facilita il confronto diretto tra candidati ed elettori. Tutti elementi che dovrebbero favorire la riflessione e l’analisi politica piuttosto che stare a vedere come una veste o parla.

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Scritto da Style24.it Unit

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