Le soap opera afgane, quelle italiane e l’universale ipocrisia del pubblico

Alberto Cairo, un chirurgo italiano della Croce Rossa da 16 anni in Afghanistan, tiene dal 2001 un bellissimo "Diario da Kabul" sul quotidiano La Repubblica, dove racconta piccoli e grandi eventi della vita quotidiana delle persone che conosce, incontra e cura nello sfortunato paese dei talebani, degli odi tribali e della guerra continua.

Nell'articolo di ieri Cairo descrive la nuova passione degli afgani per le soap opera, che le nuove emittenti del paese trasmettono senza sosta dalle sei della sera. Osteggiate dai gruppi conservatori, che vorrebbero vietarle, queste serie televisive raccontano di «amori contrastati, cognate gelose, ragazze vittime di dispotici padri, mariti violenti, madri piangenti, potenti senza cuore e buoni rassegnati», come scrive il nostro chirurgo giornalista.

È curioso pensare che, tra i tanti spettatori che seguono queste storie incollati allo schermo e magari si commuovono pure per le vicissitudini dei deboli sopraffatti, ci siano migliaia di padri che hanno imposto alle figlie l'uomo da sposare, mariti che maltrattano le mogli e benestanti che si approfittano della povertà altrui.

Curioso, ma non troppo. Del resto da noi non accade lo stesso? Le soap e le fiction più amate in Italia raccontano di ricchi avidi e spietati (eppure qua va per la maggiore un vecchio miliardario), di potenti che si approfittano di deboli coraggiosi e battaglieri (ma nessuno come l'italiano medio è servile e sottomesso nei confronti del potere), di poveri dal cuore d'oro che alla fine trionfano sulle avversità (ma tutti, per esempio, vorrebbero buttare a mare i clandestini che tentano di entrare nel paese), di odiosi padri insensibili che ostacolano l'amore dei figli (ma se nostra figlia si fidanza con un immigrato o nostro figlio con un ragazzo, te la do io l'insensibilità…). Insomma, tutto il mondo è paese.

Scritto da Style24.it Unit

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