La lezione di Fabio Volo alla radio e qualche riflessione sulla tv senza Fiorello, Celentano, Benigni, Grillo…

Prima di tutto vi invito ad ascoltare la conversazione che ho postato alla fine dell'articolo tra Fabio Volo e un suo ascoltatore, andata in onda su Radio Deejay, perché offre spunti illuminanti per capire a quale degrado culturale, prima ancora che politico, sia arrivata quell'Italia berlusconiana manipolata e lobotomizzata dalla televisione che, purtroppo, conosciamo.

Detto questo, una domanda: come mai Fabio Volo è sparito dalla tv generalista? Più di una volta ci siamo occupati dell'omologazione dell'informazione televisiva, ormai ridotta a semplice megafono propagandistico del potere, ma non ci siamo mai debitamente soffermati a riflettere sullo scadimento verso il basso, l'insulso e il triviale dell'intrattenimento.

Tema invece importantissimo, tanto più che se nel campo del giornalismo resiste ancora qualche isola di pensiero indipendente – come Report o Anno zero – nel settore dell'intrattenimento l'omologazione sembra assoluta e monolitica: domina lo show stile reality, cucinato con tutti quegli ingredienti che solleticano gli istinti più bassi dello spettatore: tette, culi, gossip, violenza, sentimenti fasulli, spettacolarizzazione del dolore, glorificazione dell'ignoranza e del disimpegno.

Eccola qua la tv formato Grande fratello che alleva ed educa generazioni di giovani e adulti alla mediocrità e al malcostume berlusconiano, all'esaltazione della ricchezza e del successo a prescindere dal rispetto di qualsiasi etica.

Una tv, questo è il dramma (ma anche l'effetto voluto), che ha bandito dalle sue frequenze qualsiasi forma alternativa di intrattenimento, qualsiasi voce critica, anticonformista, satirica o comunque dissonante rispetto alla solita musica dei reality e affini.

E quindi, per fare qualche nome, Fabio Volo sta alla radio, Fiorello scappa sul satellite, Celentano viene oscurato, Benigni appare una volta ogni due anni (con grande apprensione dei direttori di rete) e Grillo non partecipa a un programma da qualcosa come un quarto di secolo.

Chiariamo: stiamo parlando di star che, se avessero degli spazi televisivi, sbancherebbero senza problemi l'Auditel e che ogni network libero, che si muovesse seguendo dei criteri di mercato, farebbe l'impossibile per avere nella propria programmazione.

Però la televisione italiana e chi la dirige agisce non tanto e non solo secondo le normali logiche commerciali d'impresa ma, prima di tutto, ragionando sulle conseguenze politiche di ciò che si trasmette. E, verrebbe da dire, seguendo un piano culturale di lungo periodo – poco importa quanto voluto – che da tempo sta producendo i suoi frutti: plasmare un pubblico che abbia una coscienza civica e una competenza politica simile a quella di un bambino scemo di dieci anni. Che poi vota di conseguenza.

P.S. Ultime notizie: La 7 ha deciso di non confermare il programma di Maurizio Crozza per la prossima stagione, uno dei più visti della rete. Al suo posto un talk-show con l'attore e parlamentare del Pdl Luca Barbareschi.
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Scritto da Style24.it Unit

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