Scandalo Regioni: dalla Lombardia al Lazio tutti rubano, e noi?

Neppure vent’anni fa la Prima Repubblica finiva sotto i colpi della magistratura e della rabbia popolare, cavalcata da media e partiti d’opposizione. Oggi è peggio di allora, ma l’indignazione sembra posticcia, urlata più per inerzia che per altro

L’ennesimo scandalo che sconquassa la Regione Lombardia, con l’assessore Zambetti accusato di avere comprato voti dalla ndrangheta, nonostante la sua incresciosa e sconvolgente gravità, viene percepito dall’opinione pubblica come uno dei tanti episodi che costellano quotidianamente la cronaca politica di questi tempi.

Cronaca politica che ormai si è fatta cronaca criminale: l’altro giorno era Fiorito con i soldi per l’attività del gruppo spesi in Suv e viaggi, prima ancora le vacanze di lusso a gratis del presidente Formigoni, ieri lo scioglimento del comune di Reggio Calabria per contiguità con la criminalità organizzata e oggi questo Zambetti, che in campagna elettorale si era presentato con lo slogan “La forza della competenza”. Senza dimenticare i vari Lusi e Penati, giusto per rispettare la par condicio dei furti.

Di fronte a un sistema che pare fondato, nell’ipotesi più benevola, sullo spreco senza fine di denaro pubblico e, in quella più realistica, nella corruzione generalizzata della classe dirigente, la domanda più sensata è quella che viene proposta dallo spot che segnala il ritorno di Servizio Pubblico in televisione; con la Innocenzi che passeggia per le strade di Roma (ma dovrà visitare molte altre città) sollevando un cartello che interroga: “Loro rubano e tu che fai?

Anche Maurizio Crozza si poneva la stessa domanda, quando nel suo seguitissimo sketch di Ballarò improvvisava una paradossale televendita di forconi, chiedendosi cosa ancora dovesse succedere per convincere gli italiani a imbracciarne uno. Effettivamente nell’aria si respira molta apatia e rassegnazione, e a volte l’indignazione sembra quasi posticcia, fine a se stessa, urlata più per inerzia che per convinzione.

Neppure venti anni fa, in un periodo di crisi morale e politica del tutto simile, quello di Tangentopoli e della fine della Prima Repubblica, gli umori popolari apparivano molto diversi. Il Paese era inferocito contro la classe politica, i media e i partiti d’opposizione cavalcavano l’onda, spesso sconfinando nel giacobinismo, e gli italiani erano stretti intorno ai giudici e al loro lavoro di pulizia e moralizzazione.

Oggi chi esponeva il cappio in parlamento si è rassegnato a più miti consigli (e compromessi), i mass media oscillano confusamente tra giustizialismo e garantismo a seconda della vicinanza politica con gli indagati e l’opinione pubblica, che nel 93 tirava le monetine e creava catene umane intorno ai palazzi di giustizia, tutt’al più mette qualche “mi piace” agli appelli su Facebook.

Il sospetto è che molti di noi, dopo la dolorosa disillusione del dopo Tangentopoli e il misero fallimento della Seconda Repubblica, non ci credano più e diano per persa la battaglia per una rifondazione del Paese. Son tutti uguali, si sente sempre più spesso ripetere. Ma il senso della riflessione, neppure tanto nascosto, è che siamo tutti uguali, perché si crede che ognuno di noi – guadagnata una posizione di potere – ne approfitterebbe come e peggio di Fiorito e company. Se la si pensa davvero così, la luce in fondo al tunnel potrebbe essere quella di un treno merci che viaggia sparato contro di noi.

Scritto da Style24.it Unit

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