La famiglia di Sarah Scazzi tra arcaismo e modernità e i media sciacalli con i deboli

Dopo il ritrovamento del corpo di Sarah Scazzi e il disvelamento della terribile verità sulla sua uccisione da parte dello zio, siamo stati spettatori – forse come mai in precedenza – di un’invasione senza limiti e pudore della televisione nello spazio intimo di una famiglia colpita dalla tragedia di una morte violenta; seguita, ripresa e commentata quasi minuto per minuto nel dolore, nelle espressioni, negli atteggiamenti dei suoi membri.

Durante la trasmissione “Chi l’ha visto?” abbiamo assistito alla surreale e agghiacciante scena, degna del Truman Show, di una madre che in diretta televisiva apprende della morte della sua bambina dalla casa dell’aguzzino. Un momento che dovrebbe essere il più intimo e privato possibile viene oscenamente proposto a milioni di telespettatori, con la regia che indugia sul volto pietrificato e quasi senza vita della signora Concetta.

Ma il giorno dopo è ancora peggio, con una caccia spietata alle parole dei protagonisti, o meglio dei comprimari di questa orribile vicenda, dal fratello, alle cugine figlie del mostro, a chiunque abbia qualcosa da dichiarare alle onnipresenti telecamere. In questo post Paolo Siciliano ci regala una sintesi di tutti i servizi andati in onda, a me ha impressionato in particolare la puntata di giovedì della Vita in diretta, che nel pomeriggio di Rai uno si occupava del caso, insieme a giornalisti ed esperti, col fratello della povera vittima, che discuteva dei particolari più orripilanti del delitto senza battere ciglio. A pochissime ore dalla notizia della barbara uccisione della sorella.

Intendiamoci, non me la voglio prendere certo con il fratello e con la madre per questa totale arrendevolezza di fronte all’invasività dei media, per questa passività – o forse addirittura disponibilità – di fronte all’arrogante selva di microfoni e telecamere che sembra incapace di fare un passo indietro anche di fronte alle situazioni più dolorose, che meriterebbero un minimo di silenzio e pietà.

Appare evidente che la famiglia di Sarah è composta da persone semplici e modeste, e che dal punto di vista dei rapporti di autorità e affetto possa somigliare più a una famiglia patriarcale della società preindustriale, dove i figli danno del voi ai genitori, dove il papà lavora e comanda mentre la mamma si occupa della casa, dove manca l’abitudine al dialogo e al confronto e i sentimenti rimangono inespressi e nascosti, che a una famiglia moderna, dove genitori e figli parlano tra di loro in un rapporto quasi democratico e l’affetto viene continuamente manifestato e ribadito.

Una famiglia inserita in una comunità, questa Avetrana piccolo comune agricolo del profondo Sud, che sembra somigliarle molto, dove la modernità sembra ancora latitare ed essersi fermata ad un cambiamento solo di facciata e superficiale – magari l’abbigliamento, la tv, Facebook, internet – senza riuscire ad andare in fondo, senza cambiare la mentalità delle persone, soprattutto degli adulti, fermi a quella logica familista che impedisce qualsiasi progresso, che rende impossibile il sorgere di una vera comunità che non sia solo la somma di tante famiglie diverse chiuse l’una rispetto all’altra.

Ecco, è naturale aspettarsi che delle persone che provengono, sono nate e cresciute, in realtà sociali così marginali e culturalmente private, siano assolutamente impreparate a gestire e soprattutto respingere l’assalto dei media. Sono incapaci di tracciare dei confini netti tra pubblico e privato, sono sole e spaurite e subiscono l’invadenza televisiva senza pienamente capirne gli effetti e il significato, con ingenuità o fatalistica rassegnazione, svendendo in cambio di nulla la loro intimità e il loro dolore.

E i media e la televisione, ben lungi dal porsi qualsivoglia problema etico, si avventano su queste facili prede come degli sciacalli, e ne fanno strazio, come accaduto in questi giorni. E difatti, se ci pensate bene, tutta la tv del dolore, tutte quelle trasmissioni che macinano ascolti mettendo in piazza drammi e vita privata delle persone, si rivolgono e hanno per protagonisti quasi invariabilmente uomini e donne come i famigliari di Sarah: gente modesta, culturalmente e socialmente marginale, che non ha la forza e i mezzi culturali per dire di no e per chiudere la porta in faccia a chi in nome dell’audience pretende di fare scempio dell’intimità altrui.

(Nella foto: Concetta Scazzi durante la diretta di “Chi l’ha visto?”).

Scritto da Style24.it Unit

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