Il Giornale del Porro, il Pompiere della Sera e come la tv dei terzisti copre la fabbrica del fango

Negli ultimi giorni, quasi quotidianamente, vedo spuntare in tv Paolo Mieli, ex direttore del Corsera, che pontifica sul caso Il Giornale – Marcegaglia per avvalorare l’ipotesi dell’equivoco sostenuta dalla direzione del quotidiano milanese. Prima da Lilli Gruber e poi a Ballarò Mieli mostra di non avere dubbi: lui conosce Feltri e sa che non obbedisce a nessun ordine, conosce Porro ed è sicuro della sua buona fede.

Paolo Mieli, giornalista e storico a cui il piccolo schermo ha sempre garantito ampia visibilità, è una sorta di simbolo e di vate di quella tendenza al terzismo che appare dominante nei media italiani e in particolare in televisione, al netto degli ultrà del Cavaliere tipo Minzolini e Fede. Talmente dominante da costituire in un certo senso il mainstream della comunicazione politica del nostro Paese.

Ma cos’è il terzismo, di cui il Corriere della Sera – efficacemente ribattezzato da Marco TravaglioPompiere della Sera” – è una sorta di Bibbia? Adoperando parole più povere si potrebbe richiamare la vecchia immagine del colpo al cerchio e alla botte, ma c’è qualcosa di più. Il terzismo dei media si manifesta soprattutto nello sforzo di rappresentare il nostro Paese come normale, e di raccontare le anomalie più vistose del sistema politico – che provengono quasi esclusivamente dalla destra di Berlusconi e Bossi – come marginali, di poco conto, bazzecole.

Per dire: Berlusconi dichiara che esiste una magistratura golpista e che i giudici sono un’associazione a delinquere? I terzisti fanno spallucce: semplicemente un problema di toni troppo alti. Bossi parla di padani armati di fucile pronti a marciare su Roma? È solo una boutade. Un senatore vicinissimo al premier viene condannato in secondo grado per mafia? Beh, ma c’è sempre la Cassazione. E così via, l’elenco sarebbe lunghissimo. In più, visto che per la logica terzista non si può criticare la maggioranza senza sferzare anche l’opposizione, ogni piccolo passo falso del centro-sinistra viene amplificato e censurato con severità.

Rispetto alle campagne punitive del Giornale contro i nemici di Berlusconi l’atteggiamento terzista rimane invariato. Dicono Mieli e i suoi adepti: è evidente che Porro non facesse sul serio quando minacciava al telefono il portavoce della Marcegaglia, figurarsi se nel nostro Paese può accadere qualcosa di simile. In realtà, se uno ascolta la telefonata, risulta chiaro l’esatto contrario, tanto che ad un certo punto Arpisella domanda al vicedirettore del Giornale: ma è uno scherzo? E quello gli risponde: un po’ è vero un po’ è vero, aggiungendo che la presidente di Confindustria è una “stronza”.

Ma i terzisti sono così autorevoli, così bravi e soprattutto così dominanti nell’informazione politica che alla fine riescono a convincerci che due più due non fa quattro (e ancora una volta torniamo a citare Orwell) e che il bianco sia nero e viceversa. Del resto che il quotidiano della famiglia Berlusconi sia diventato uno strumento di lotta politica è evidente da quando venne sfilato dalle mani di Montanelli – che non voleva ridursi al ruolo di manganellatore del padrone – per essere affidato a Vittorio Feltri, quello che secondo Mieli sarebbe un fulgido esempio di indipendenza.

Il primo caso di quelle campagne a base di fango e calunnie da usare come bazooka contro i nemici del padrone, che oggigiorno hanno raggiunto il loro livello più acuto e raffinato di ideazione, risale proprio a quegli anni, quando Littorio Feltri prese di mira il suo vecchio idolo Antonio Di Pietro e montò contro l’ex pm – reo di essersi schierato con il centro-sinistra – una micidiale guerra mediatica costruita sul nulla, in cui si accusava l’eroe di Mani pulite di qualunque cosa, compreso l’essersi intascato miliardi di lire per avere favorito nelle sue inchieste Pacini Battaglia, banchiere invischiato con il sistema di corruzione di allora.

Sommerso dalle querele dell’ex magistrato, e con il rischio di provocare il crack finanziario del Giornale che sarebbe stato obbligato a pagare fior di milioni per la diffamazione, Feltri si vide costretto a scrivere un editoriale riparatore in cui praticamente confessava di essersi inventato tutto, negava che esistesse un “tesoro di Di Pietro” e chiedeva scusa. Scrivendo nero su bianco: “È stata una guerra innaturale combattuta più per partito preso che per sincera convinzione”. Tradotto: ho attaccato Di Pietro perché mi è stato ordinato dal padrone, non per libera scelta editoriale.

Quando Feltri se ne va e arriva Maurizio Belpietro, altro campione della fabbrica del fango organica alla destra berlusconiana, la musica non cambia e Il Giornale si lancia in una nuova poderosa campagna stampa che, sulla base delle balle raccontate da un ex cartomante che risponde al nome di Igor Marini, accusa l’intero vertice del centro-sinistra per l’affare Telekom Serbia. Come al solito alla fine risulta tutta una montatura, tanto che il sedicente consulente finanziario Marini finisce in cella per calunnia.

Si potrebbero richiamare altri esempi, per poi arrivare ai più recenti pestaggi mediatici orditi dai soliti Feltri e Belpietro contro Boffo (rispetto al quale è già stata dimostrata la falsità di buona parte della accuse con tanto di retromarcia del solito Littorio colto in castagna) e Fini. Questi sono quelli che secondo i terzisti fanno inchieste e giornalismo. Sarà, ma in quale democrazia del mondo dopo le cantonate colossali descritte sopra starebbero ancora a dirigere giornali? Quale editore li avrebbe mai tenuti? Forse solo chi li avesse assunti non per fare i giornalisti, ma per fare i killer politici.

(Nella foto: Paolo Mieli)

Scritto da Style24.it Unit

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