Afghanistan, operazione fazzoletto rosso per salvare centinaia di donne

Non c'era speranza per le donne attiviste in Afghanistan, ma con l'operazione fazzoletto rosso i carabinieri le hanno condotte sane e salve in Italia.

La fuga dal regime dei talebani continua senza sosta. Tanti uomini, donne e bambini cercano soluzioni e tentano il tutto per tutto per avere una speranza di vita. Fra le missioni di salvataggio dall’Afghanistan c’è anche operazione fazzoletto rosso, guidata dai carabinieri, che ha condotto in Italia centinaia di donne attiviste. Cosa le accomuna? Un laccio rosso legato al polso.

Afghanistan, operazione fazzoletto rosso

Sono stati giorni concitati e di paura. Circa un centinaio di donne attiviste dovevano mettersi in salvo ma per tre notti consecutive non erano riuscite a varcare i cancelli dell’aeroporto. A dare loro un aiuto fondamentale sono stati i carabinieri del Tuscania, contrattando per ore con gli americani. Dopo il sostegno del ministero degli Esteri, del console e del Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI) i militari hanno finalmente iniziato a cercare le donne da salvare.

Insieme agli operatori di Nove Onlus hanno radunato le ragazze vestite di nero con il fazzoletto rosso, segno per distinguerle dalla folla: un vero e proprio lasciapassare per la salvezza. Un’idea proprio delle donne per potersi riconoscere in fretta e restare unite tra le migliaia di persone che sperano prima o poi di imbarcarsi.

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Le donne attiviste

“Dì alla tua gente che sono angeli”, dice Maryam Sadaat, attivista per i diritti delle donne e funzionaria della precedente amministrazione, riferendosi proprio ai carabinieri.

Buona parte delle 140 ragazze che erano sulla lista sono riuscite a partire. Negli ultimi vent’anni hanno collaborato con gli italiani e con tante associazioni che promuovono i diritti umani. È una nuova generazione di donne quella che arriverà in Italia, diversa dalle donne che furono oppresse 25 anni fa dai talebani. Sono ragazze che hanno studiato, madri che mandano i figli a scuola, guidano e lavorano. Tutte loro hanno sfidato la misoginia per rendere l’Afghanistan un posto migliore, spazzato via in così poco tempo.

Raggiungere l’aeroporto di Kabul non è semplice: ci hanno messo tre giorni e tre notti, attraversando la città, fra spintoni, botte e schiacciamenti. Tra di loro ci sono anche donne incinte e bambini appena nati.

La speranza di chi resta

Sono moltissime le storie di famiglie costrette a separarsi.

So che devo dirle addio, almeno per il momento, ma ho capito già che con voi italiani sarà al sicuro, i vostri carabinieri sono stati gentili

Queste le parole di Salim, il marito di una di loro, che ha deciso di restare per mettere in ordine suoi affari. Lui ha fornito microcrediti a centinaia di donne in tutto il Paese che hanno messo su delle attività. “Devo restare ma ci ritroveremo”, promette alla moglie che tra le lacrime dice che lui è la sua vita. Maryam passa il telefono a un sorpreso carabiniere, che mormora “state pure tranquilli, ora queste signore sono al sicuro”. In Afghanistan si continua a cercare chi è rimasto indietro, e le donne tratte in salvo non permetteranno che anni di sforzi e conquiste siano vanificati.

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