Aborto spontaneo: perché succede?

Da sempre esiste l’aborto spontaneo, che interrompe molte gravidanze contro il volere dei futuri genitori. Ma perché accade ed è relativamente frequente? Vediamo un po’ come funziona.
Cos’è aborto spontaneo
L’aborto spontaneo è la morte dell’embrione o del feto prima che esso sia in grado di sopravvivere al di fuori del grembo materno. In genere, questa interruzione prematura della gravidanza avviene nei suoi primi stadi.

Circa il 75% degli aborti spontanei, infatti, si verifica entro il quarto mese della gestazione, mentre solo il 25% ha luogo nei suoi stadi più avanzati.

Il sintomo più comune di un aborto spontaneo consiste nel sanguinamento vaginale, che può essere o meno doloroso e accompagnato da crampi addominali. Ricordiamo però che sanguinamenti di piccola entità sono perfettamente normali in molte gravidanze e non costituiscono un campanello d’allarme. Anche tessuti o coaguli di sangue possono fuoriuscire dalla vagina in questi casi.

Quando l’interruzione spontaneo si verifica nelle prima settimane di gravidanza, spesso non è necessario alcun intervento medico. Se, invece, essa dovesse avere luogo più avanti, bisognerà intervenire con un raschiamento per evitare che la donna subisca complicazioni in termini di salute.
Possibili cause
Ci teniamo a sottolineare che, almeno nella maggior parte dei casi, la donna puerpera non può fare nulla per prevenire l’aborto. Tuttavia, è importante conoscerne le cause anche per scongiurarlo in eventuali successive gravidanze.

Se l’aborto spontaneo avviene durante il primo trimestre di gravidanza, in genere esso viene attribuito a una anomalia cromosomica nel feto. Questa può essere influenzata da diversi fattori, primo tra tutti l’età dei genitori e in particolare della madre: si stima che, superati i 45 anni di età, circa la metà delle gravidanze non vada a buon fine. Altre variabili di rischio sono rappresentate dall’obesità della donna, dal consumo di alcool, fumo e droga e dall’eccesso di caffeina (oltre i 3 caffè al giorno).

Nel secondo trimestre, invece, a influire sulle probabilità di aborto spontaneo contribuisce in misura maggiore la situazione clinica della madre. Fattori di rischio principali sono le malattie infettive, le intossicazioni alimentari, la pressione alta, il diabete, le malattie renali, l’ipertiroidismo e l’ipotiroidismo, il lupus, eventuali anomalie nell’utero, la sindrome da ovaio policistico o alcuni farmaci, tra cui gli antinfiammatori.
Come affrontarlo
In seguito a un aborto spontaneo, potrebbero rendersi necessari o meno alcuni interventi medici. In particolare, se a livello uterino non rimane traccia del feto o altri tessuti della gravidanza, non è necessario un trattamento.

In caso contrario, il medico potrà valutare tre diversi tipi di intervento.

Il primo è quello della vigile attesa. In genere si attende un tempo compreso tra una e due settimane per verificare se avviene una sorta di mestruazione in grado di pulire l’utero. Questo può essere verificato con un’ecografia o con una serie di dosaggi di Beta HCG.

La terapia farmacologica, che deve comunque essere accompagnata a un attento monitoraggio, prevede l’assunzione di specifici farmaci per ripulire l’utero.

In alcuni casi, infine, la paziente deve sottoporsi a una terapia chirurgica di raschiamento.

Indipendentemente dai risolti fisici, un aborto spontaneo può avere di molto pesanti a livello emotivo, per la donna e per il suo partner. In questo caso è consigliata anche una terapia psicologica per superare il trauma.

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