L’atto mancato: cos’è e cosa rivela?

Comportamento illogico

In psicoanalisi, l’atto mancato è definito come “un comportamento socialmente inadatto che realizza un desiderio inconscio“. Ovvero, si ha l’intenzione di fare una cosa, ma si finisce per fare diversamente, agendo in modo incoerente.

Ad esempio: perdere le chiavi della macchina proprio quando dobbiamo andare a lavoro, dimenticare di rispondere a un’email importante o lasciare il portafoglio al ristorante. Tutti errori che generalmente tendono a farci esasperare ed arrabbiare.

L’atto mancato opera, invero, sul nostro comportamento allo stesso modo di come il lapsus opera sulle parole (dire una parola al posto di un altro).

Come interpretarlo?

Il concetto di atto mancato è stato sviluppato da Freud nel 1901, nel suo articolo «Psicopatologia della vita quotidiana».

Secondo lo psicoanalista, contrariamente a quanto crediamo, gli atti mancati non sono frutto di casualità, di stanchezza o di mancanza di attenzione, ma la rivelazione involontaria di ciò che il soggetto non può esprimere consapevolmente: un’intenzione, un’unità, un desiderio represso. La traduzione di un conflitto interno.

Per esempio: lasciare il portafoglio al ristorante potrebbe rivelare il desiderio inconscio di ivi trattenersi più tempo; o, ancora, dimenticare un appuntamento importante perché, in fondo, avevamo paura di andarci.

C’è da preoccuparsi?

Assolutamente, no. Compiere atti mancati è normale. A tutti noi accade ed in tutti i tipi di circostanze. In nessun caso si tratta di sintomi di disturbi psicologici.

Tuttavia, se si verificano spesso in un breve lasso di tempo, sarebbe utile chiedersi il perché e se essi tentino di rivelarci alcuni dei nostri desideri inconsci.

Pertanto, non c’è dubbio che riflettere su questi banali errori di comportamento ci possa aiutare a scoprire i nostri sentimenti e desideri più profondi.

Scritto da Valeria Citraro

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