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Recenti indagini condotte dalla Procura di Milano hanno messo in luce un sistema di sfruttamento lavorativo che coinvolge noti marchi di moda di lusso.
Le case di moda come Dolce&Gabbana, Gucci e Prada sono state chiamate a rispondere a quindici ordini di consegna documenti relativi alle loro operazioni produttive. Questi marchi sono stati collegati a filiere produttive che si avvalgono di lavoratori sfruttati, spesso in condizioni di lavoro precarie e pericolose.
Le indagini hanno rivelato che i brand di lusso si avvalgono di un sistema di appalti e subappalti che arriva fino a sette livelli.
Questo modello permette di eludere le normative sul lavoro e sulla sicurezza, mentre i lavoratori, spesso immigrati, si trovano a operare in laboratori clandestini, dove sono costretti a lavorare per ore senza garanzie né diritti. In questi contesti, le condizioni igieniche sono spesso inadeguate, e il rischio per la sicurezza è elevato.
Un episodio tragico evidenzia l’urgente necessità di riformare queste pratiche. Nel 2025, un giovane lavoratore del Bangladesh ha perso la vita durante il suo primo giorno di lavoro in un laboratorio a Trezzano sul Naviglio.
Questo evento ha sollevato interrogativi sulla responsabilità dei marchi di lusso che, pur non gestendo direttamente le operazioni nei laboratori, beneficiano delle produzioni realizzate in queste condizioni disumane.
Il pubblico ministero Paolo Storari, insieme ai carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro, ha iniziato a notificare i provvedimenti ai vari brand, chiedendo documentazione per comprendere il loro grado di coinvolgimento nel sistema di sfruttamento.
Le richieste includono dettagli sui fornitori e sul numero di lavoratori in condizioni di exploitation, evidenziando articoli del marchio rinvenuti nei laboratori clandestini.
È chiaro che la situazione attuale non può più essere tollerata. Le aziende devono adottare misure concrete per garantire che le loro filiere siano libere dal caporalato e dallo sfruttamento. Le leggi esistenti non sembrano sufficienti a dissuadere le pratiche illegali, e la richiesta di maggiore trasparenza e responsabilità è più che mai urgente.
Il prestigio del Made in Italy non può più essere costruito sulla pelle dei lavoratori. La vera ricchezza della nostra industria deve fondarsi sul rispetto dei diritti, sulla dignità del lavoro e su un sistema produttivo che non ignori il benessere di chi contribuisce a creare il valore dei nostri prodotti. È tempo di agire e di rivedere le politiche aziendali affinché non si ripetano altri casi di sfruttamento e tragedia.