Il sogno di tutti i figli: la difesa a spada tratta da parte del proprio genitore, che invoca l’infermità mentale
Ogni scarrafone è bello ‘a mamma soia e Fabrizio Corona non fa eccezione. Nonostante sia forse uno dei personaggi più odiati della Repubblica italiana, secondo solo a esponenti politici quali Mario Monti, Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, c’è però qualcuno che crede in lui: Gabriella Corona, sua madre.
Bella forza, direte voi, ma nell’intervista concessa a Gente c’è la commovente dedizione di un genitore che combatte persino contro la stessa essenza della realtà per difendere il sangue del proprio sangue.
La signora Corona, infatti, ha voluto svelare dei dettagli riguardanti i guai giudiziari avuti dal figlio, che ancora adesso è al centro di vari processi. Si inizia parlando di vicende che risalgono al 2007, anno della prima carcerazione per la vicenda Vallettopoli: “Dietro le sbarre è uscito di senno e ha ceduto a pessime compagnie che poi lo hanno trascinato in un vortice di reati“.
Cattive compagnie, quindi. Ma anche un male oscuro che avrebbe ottenebrato la mente del giovane: “Ricordo bene che gli mandai uno psichiatra in prigione: quel medico disse da subito che mio figlio aveva una patologia ben importante.
Nel cervello di Fabrizio mancano alcune sostanze che ora sta assumendo con le medicine, sostanze che riequilibrano i neurotrasmettori e anche gli ormoni“.
Effettivamente il giovine si è un po’ calmato, anche se non si può dire che sia diventato proprio una personcina a modo. Sopratutto non equilibrata, viste le sue vicissitudini mediatiche al fianco di Belen Rodriguez. Ma la mamma è sempre la mamma e non sembra pensarla così: “È un percorso che sta seguendo e che mi sembra che funzioni: ma se torna in carcere cosa facciamo? Ripiombiamo nell’incubo, nel terrore, in un ambiente che per la sua psiche, come per quella di chiunque non sia un vero delinquente, è troppo traumatizzante“.
Sconvolta nel proprio amore sconfinato, la donna non ha che un pensiero: salvare Fabrizio. “Al carcere invece penso notte e giorno. Non posso dimenticare la prima volta che andai a trovarlo in prigione: per me fu un trauma, ero scioccata, mi sentivo umiliata nel profondo, per lui e per me. Ma quella volta terribile furono mesi, non anni come ci aspettiamo invece adesso. Se Fabrizio finisse in prigione per molto tempo ne morirei.
Pensare di sopravvivere senza di lui adesso mi è impossibile“.
E allora, in un colpo di scena che non esiterei a definire assieme italico e berlusconiano, la soluzione proposta altro non è che l’impunità: “Io ho sessant’anni ma me ne sento molti di più, e ai giudici che dovranno decidere di questo mio ragazzo dico: non è un delinquente. Non condannatelo come fosse un assassino: dieci anni, in Italia, non li prendono nemmeno quelli“.
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