Che i media non parlino dell’omosessualità di Dalla ci può stare, visto la sua scelta di non esporsi in pubblico. Ma non fino al punto di chiamare il compagno un “collaboratore”!
Che Lucio Dalla fosse gay lo si sapeva da anni, ma il cantante non aveva mai fatto il cosiddetto coming out. In altre parole, non aveva dichiarato esplicitamente le sue preferenze sessuali agli altri, magari – trattandosi di un personaggio pubblico – attraverso un’intervista o una conferenza stampa.
Ci sono persone che non avvertono questo bisogno, che vivono le loro relazioni lontani dai sensi di colpa e dalla vergogna ma allo stesso tempo in modo riservato, senza nascondere ma anche senza esibire. Altri invece, altrettanto rispettabilmente, preferiscono rendere manifesta e pubblica la propria omosessualità, generalmente per reazione alle discriminazioni che patiscono e per meglio aderire alle battaglie della comunità gay.
Lucio Dalla evidentemente faceva parte del primo gruppo, ed è anche per questo che non ci sentiamo di condannare la scelta della generalità dei mass media di non sollevare l’argomento omosessualità dopo la sua morte, quando dalla tv al web si sono moltiplicati i ricordi, le celebrazioni e le testimonianze d’affetto.
Dalla aveva deciso di vivere la sua situazione sentimentale in modo discreto e lontano dai riflettori, giusto dunque mantenere a bada curiosità e pettegolezzi.
Questo però non giustifica la mistificazione fantozziana, l’imbarazzato (ma perché?) occultamento della verità. Per esempio, nei tg e sui giornali abbiamo sentito chiamare il compagno di Dalla nei modi più fantasiosi, da “amico” ad addirittura “collaboratore” o “corista”. Ecco, qua riemergono tutti i nostri complessi (o meglio, i loro) nei confronti dell’omosessualità.
E si avverte quel sottile razzismo che impedisce un comportamento civile e dignitoso. Perché, per dire, se la relazione tenuta lontano dai riflettori fosse stata con una donna, dubito che avremmo sentito parlare di “collaboratrice”.
(In alto: Lucio Dalla; fonte: infophoto).



