Qualunquemente di Antonio Albanese: un film in ritardo sulla realtà

Nato nel lontano 2003, ad opera di un dinamico ed esuberante Antonio Albanese, Cetto La Qualunque è, come oramai tutti sapranno, un politico corrotto, misogino (e insieme patito al massimo grado della bellezza femminile), machista, ignorante, mafioso, dal profondo disprezzo verso la legalità e l’ecologia. Il personaggio comico venne prima presentato in Rai, ma ottenne il suo consenso più ampio nei programmi della Gialappa’s band; ritornò quindi sulle reti nazionali come ospite del programma di Fabio Fazio Che tempo che fa.

Non si tratta quindi un personaggio ignoto al grande pubblico e le sue battute caratteristiche sono già familiari da tempo a chi ha seguito un minimo la normale programmazione televisiva. Bisogna tenere conto di ciò se si vuole andare a vedere Qualunquemente, l’ultimo film di Albanese, che racconta l’entrata in politica di Cetto e la sua vittoria esplosiva alle elezioni del suo paese (in più sensi): buona parte delle battute migliori e delle situazioni più divertenti della pellicola sono già state anticipate dalla capillare campagna di promozione, che sicuramente ha ben introdotto il personaggio, ma lo ha anche reso troppo conosciuto al pubblico, che non troverà significativi elementi di novità nella pellicola.

Il problema principale del film, se lo si guarda come una commedia, è quello di avere esaurito le sue cartucce ancora prima che lo spettatore sia entrato in sala (beninteso, se si è un po’ informato sul protagonista): l’opera è strutturata come un insieme di sketch che illustrano la vita di Cetto La Qualunque, dal suo ritorno dalla latitanza fino alla vittoria alle elezioni; purtroppo queste gag non risultano quasi mai particolarmente esilaranti, e sono facilmente prevedibili se si hanno chiare le caratteristiche del delinquente medio incarnato dal protagonista.

Il quale non è caratterizzato in maniera realistica, ma è piuttosto una macchietta, come si evince dal suo ossessivo ripetere i tormentoni che ne hanno reso celebri i passaggi mediatici (televisione, radio, internet, manifesti e via dicendo). Da un punto di vista più ampio questa strategia di marketing costituisce un cortocircuito comunicativo piuttosto interessante, ma per quanto riguarda la pura e semplice visione del film bisogna riscontrare che conoscere già laparte migliore dell’opera rende l’esperienza in sala piuttosto avvilente.

Se invece si guarda il film come una satira sulla politica nostrana allora bisogna riconoscere il coraggio di Albanese per la sua scelta di affrontare tematiche così scottanti  e in maniera tanto diretta. Purtroppo, come più volte letto e sentito, la realtà ha da lungo tempo superato la fantasia degli sceneggiatori, e sulle pagine politiche dei giornali si leggono resoconti che poco hanno a che fare con le sorti del Paese, ma sembrano piuttosto essere usciti da romanzetti rosa pruriginosi di quarta categoria.

Questo per quanto riguarda il bersaglio politico “individuale”; se , come forse era l’originale intenzione dell’attore, l’obiettivo era quello di una satira contro il malcostume politico in generale, allora il proposito non è andato a buon fine. Non che il film manchi di cattiveria, ma non risulta mai molto incisivo, presentando delle situazioni provviste di un umorismo di grana grossa, che non può neanche essere definito grottesco perché lontano dalla deformazione del reale che si attribuisce convenzionalmente all’aggettivo. Insomma, per quanto grande possa essere stato lo sforzo degli autori e per quanto onesta e sincera la loro intenzione, il racconto si mantiene sempre sul filo della parodia leggera: manca, a questo proposito, una seria descrizione delle conseguenze drammatiche delle azioni del mostro Cetto.

Il film comunque si presenta bene per quanto riguarda l’aspetto visivo, con alcune scelte interessanti: il paese oggetto delle mire del futuro sindaco viene rappresentato come se si trattasse di un western di frontiera, con paesaggi polverosi, strade deserte e una generale assenza della componente legale; il cromatismo acceso dei vestiti di Cetto (viola, lillà, rossi accesi) ne fanno un personaggio ridicolo, alieno, estraneo, forse allo scopo di evitare una identificazione eccessiva tra protagonista e pubblico dell’opera. Non particolarmente felici le performance dei vari attori, tutte giocato sullo stesso tono e prive di varietà: simile, solo leggermente più alta come valore, anche la prova di Albanese.

In conclusione, un film potenzialmente divertente ma rovinato dall’eccesso di semplificazione con cui è stata trattata la materia. E rovinato anche dalla realtà stessa.

Scritto da Style24.it Unit

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