La criminalizzazione del dissenso da Capezzone a Belpietro: quando le uova diventano molotov

Siamo un paese particolare e lo sappiamo: abbiamo un presidente del Consiglio che gode di una forte popolarità e del convinto sostegno di una parte del Paese, mentre l’altra metà lo giudica indegno di governare e addirittura pericoloso. E viviamo un periodo molto difficile, dove la crisi economica e i tagli alla spesa pubblica determinano situazioni di grandi disagio, paura e difficoltà in ampie fasce della popolazione, tra giovani che non trovano lavoro e adulti che lo perdono, senza prospettive di ritrovarlo facilmente.

È chiaro che in una situazione del genere possono emergere conflitti, contestazioni e tensioni sociali: è fisiologico che accada, ma se tutto resta entro i confini di una protesta civile e non violenta queste dinamiche non vanno criminalizzate, perché fanno parte della normale dialettica democratica e anzi rappresentano una preziosa valvola di sfogo per far sbollire la rabbia sociale.

Può accadere poi che, all’interno di un generale movimento di contestazione composto e civile, possano emergere degli episodi borderline, che sconfinano pericolosamente nel campo della prevaricazione e del disprezzo dell’avversario, o addirittura della violenza. Come i fischi a Bonanni con tanto di lancio di fumogeno o le uova tirate contro la sede della Cisl, eventi isolati che però rischiano di oltrepassare il limite di guardia, e che giustamente sono stati stigmatizzati da tutte le forze politiche e sociali, mass media compresi.

C’è però chi oggettivamente ha esagerato nella condanna, per fini che a voler pensare male potrebbero apparire strumentali e di bassa bottega, orientati a rimuovere il dissenso attraverso una grossolana – e molto comoda – criminalizzazione.

Invece bisogna imparare a dare peso alle parole, e comprendere che quando si evoca “un clima da anni di piombo” per qualche esagitato, dichiarazioni del ministro Maroni e di altri esponenti della destra, o si usa il termine di “terroristi” per chi lancia delle uova contro un muro – come ha fatto il ministro Sacconi – si rischia di soffiare sul fuoco, di alimentare l’esasperazione e soprattutto si compie un’operazione di evidente disonestà intellettuale. Perché le uova non sono molotov, e su questo non ci può essere confusione.

L’altro giorno un ignoto aggressore ha colpito Daniele Capezzone al volto e si è poi dileguato tra la folla. Ovviamente esprimiamo la nostra solidarietà al portavoce del Pdl, ma rifiutiamo le parole di ieri ascoltate a Sky Tg24, quando afferma che “oggi chi sta vicino a Silvio Berlusconi rischia”. Perché stando ai fatti una conclusione del genere è del tutto spropositata e fuori luogo e non trova nessun ancoraggio alla realtà. Sappiamo chi è l’aggressore? Siamo sicuri che sia un facinoroso di sinistra e non un bullo qualsiasi o uno che ce l’ha con Capezzone per qualche altro motivo?

Perché torna in mente la storia del presunto attentato a Maurizio Belpietro, direttore di Libero, che produsse un frastuono mediatico di prima grandezza, con politici e giornalisti organici alla destra che facevano a gara a chi la sparava più grossa con l’allarmismo, la denuncia del clima d’odio e i rischi del ritorno del terrorismo. Oggi chi conduce le indagini – ma già dalle prime ore si capiva benissimo che qualcosa non tornava – si sta lentamente convincendo dell’inverosimiglianza di tutta la vicenda: tanto che la scorta a Belpietro è stata di nuovo ridotta e il caposcorta – quello che avrebbe sparato e  inseguito l’aggressore – trasferito. A proposito, avete mai notato che il fantomatico attentatore ritratto nell’identikit (vedi immagine) assomiglia proprio a Belpietro?

(Nella foto in alto: Capezzone).

Scritto da Style24.it Unit

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