Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni: forse, ma di certo non vedrai un bel film

Woody Allen, questa pietra miliare del panorama cinematografico mondiale. Ormai siamo abituati a vedere uscire un suo film all’anno, lui dice che si tratta del suo personale modo di combattere la depressione derivata dall’avanzare dell’età ma qui si ha il sospetto che lo faccia soprattutto per girarsi tutta l’Europa, visti i set degli ultimi film (Londra, Barcellona e Parigi): detto ciò, ognuno è libero di fare un po’ ciò che vuole, se i risultati sono buoni.

Mi ero però ripromesso di fare una valutazione dell’ultima fase “europea” del regista di origini ebraiche e l’ultimo suo film uscito nelle sale cade proprio a fagiolo.

Il primo, Match Point, era stata una bella sorpresa per i profani, che finalmente avevano conosciuto anche l’Allen drammatico, convinto assertore dell’ineluttabilità del destino (elemento che non solo è stato sempre presente anche nelle commedie ma era il centro focale di un film quale Crimini e misfatti); nel secondo, Scoop, si girava attorno alle stesse tematiche con un tono più leggero, e risultati meno soddisfacenti; il terzo, Sogni e delitti, era un aborto filmico di poco valore su cui è meglio non spendere troppe parole; Vicky Cristina Barcelona invece, contrariamente a buona parte della critica, mi piacque molto per il modo lucido e tagliente con cui descriveva intrecci sentimentali, aiutato da attori in parte e molto affiatati; Basta che funzioni invece riprendeva la misantropia del primo Allen, con un nuovo attore al suo posto e risultati che andavano dal divertimento nella prima parte all’imbarazzo per la seconda, che aveva pretese di analisi sociologica (fuori tempo di almeno un paio di decadi).  

Purtroppo Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni (è incredibile come ogni volta mi debba lamentare dalla traduzione dei titoli – You Will Meet a Tall Dark Stranger è infatti una frase significativa pronunciata nel film) fa parte della schiera dei brutti film di Allen.

Si tratta di un’opera frettolosa, poco ispirata, sonnolenta nel suo incedere e poco incisiva anche nel suo sonnecchiare. Gli attori, generalmente di discreta caratura, sono del tutto sprecati: Anthony Hopkins sembra perennemente addormentato, Freida Pinto è molto carina, inutile negarlo, ma è imbarazzante quando cerca di trasmettere della passione o del dolore, Antonio Banderas, forse vittima del personaggio, rimane sempre imbambolato sulla scena. Gli altri attori non se la cavano meglio, con l’eccezione della brava Gemma Jones che si impegna a fondo e costruisce un bel ritratto di una lady inglese avanti con gli anni ma ancora signorile e decorosa.

Ciò che manca al film da una parte è la capacità di far ridere, non c’è una battuta memorabile,  momenti spassosi, trovate originali; dall’altra manca proprio la voglia di andare a fondo nell’analisi delle sciagure dei personaggi, approfondendo le motivazioni delle loro azioni.

Ne risulta così un film vuoto, inerme, che solo nelle battute finale tira fuori un po’ di cattiveria, ovverosia quando i protagonisti devono fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte: di certo non basta a salvare la pellicola, ma quella manciata di minuti mostra cosa Woody Allen avrebbe potuto tirare fuori da attori e situazioni del genere. Hopkins infatti è magistrale nella sua desolazione, nella sua drammatica volontà di avere un figlio per sostituire quello morto; anche la Watts mostra tutta la propria superficialità e il proprio egocentrismo mentre chiede e pretende un prestito alla madre, dandole dell’idiota in balia di superstizioni senili. Sono due momenti molto intensi, che stonano con il resto del film, come se in fase di montaggio fossero stata inserita una bobina girata in un altro luogo e in un altro tempo.  

Per tutto il resto del film però ci si trova davanti ad una brutta esposizione della solita teoria di Allen sul caos e sulla fondamentale solitudine degli essere umani: questa visione del mondo purtroppo non funziona se non ci sono dei personaggi veri ad incarnarla, né ci si presta troppa fede se si rimane spettatori annoiati e distanti. Non aiuta poi l’uso costante e fastidioso della voce narrante che descrive la vita interiore dei protagonisti, senza che questa venga poi realmente mostrata su schermo. È evidente che quando il succo del film deve essere letto invece che rappresentato, allora c’è qualcosa che non va. Nell’ultimo film di Allen quel qualcosa è praticamente tutto.

Scritto da Style24.it Unit

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