Il film più commovente della Mostra del Cinema di Venezia arriva finalmente nelle sale italiane. La nostra recensione
Ci sono delle volte in cui arrivo a casa dopo aver visto un film e ho immediatamente voglia di parlare delle immagini che sono sfilate sullo schermo cinematografico, non importa se la mia sarà un’opinione entusiasta, polemica, ironica o meditativa. In questi casi lo spunto dato dalla pellicola visionata dona quella spinta, quella fiammella generatrice di un pensiero.
Altre volte, invece, il film è così importante, così imponente, così straziante che l’unico rimedio alla violenza subita non è che il silenzio, perché ogni parola vergata, ogni tasto digitato sulla tastiera, non sarebbe altro che un rievocare quelle emozioni laceranti.
È questo il caso di A Simple Life, ultima opera della regista di Hong Kong Ann Hui, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno e premiato con la Coppa Volpi per la magistrale interpretazione della protagonista Deanie Yip.
Il sottoscritto a Venezia ha visto questo film due volte e ha trascinato tutti i suoi conoscenti a vederlo il giorno successivo. Non sono riuscito a dire di no neanche alla terza visione, quella d’anteprima per la stampa, tanto forte era il mio desiderio di ripercorrere la storia di Ah Tao.
L’ormai anziana donna, amah (ovvero serva, domestica, nutrice) sin da piccola ha prestato servizio presso la famiglia Leung.
Amata da tutti i componenti del nucleo, ha visto un po’ alla volta svuotarsi la casa di cui si è sempre presa cura, fino a quando non è rimasto con sé che il suo prediletto Roger, oggi quarantenne produttore cinematografico sempre in giro per il mondo.
In seguito a un ictus la donna non è più in grado di compiere il proprio lavoro e, non volendo essere un peso per la famiglia, decide di trascorrere gli ultimi anni di vita in un ospizio.
Roger (un Andy Lau, star del cinema di Hong Kong, che finalmente interpreta un personaggio poco fascinoso, “normale”) però non desidera lasciarla da sola e, per quanto gli è possibile, si occupa delle sue necessità, rinsaldando un legame affettivo, più forte di quello materno perché non direttamente generato dal sangue, che li aveva sempre uniti.
Un parallelismo un po’ fuori luogo, ma spero serva per far comprendere la natura di quest’opera e l’intento dietro le scelte artistiche di Ann Hui: André Bazin, grande teorico del cinema, sosteneva che i registi si possono dividere in coloro che credono nell’immagine e in coloro che credono nella realtà.
Ebbene, A Simple Life è un film che tenta in tutti i modi di catturare la realtà nello splendore accecante delle sue innumerevoli sfumature: non si tratta solo dell’approccio documentaristico, della macchina da presa che, sempre pudica e rispettosa, si sofferma sui volti segnati dal tempo degli attori (molti dei quali non professionisti e davvero occupanti la casa per anziani del film), di una sceneggiatura che evita astrazioni, prediche, discorsi moraleggianti e privilegia invece la concretezza della situazioni, allineando sconforto, attimi di comicità, tristezza, malinconia, gioia, amore senza soluzione di continuità…e in effetti, mi sono perso in tutto ciò che il film è ma non solo.
Perché A Simple Life è uno di quei rari manufatti artistici in grado di restituire l’esperienza di una vita intera condensata nel breve arco temporale di un paio d’ore. L’intelligenza e la sensibilità di Ann Hui ci mostrano (e mai dimostrano) che il tessuto dei legami che intrecciamo ogni giorno non è costituito da grandi gesti, roboanti parole ma da piccoli enormi dettagli che, in un singolo, preciso, istante numinoso svelano il fondo della realtà.
Allora che la vita di Ah Tao si sia risolta tutta tra le quattro mura di un appartamento, che sia stata dedicata agli altri e non alla sua felicità (concetto ignobile, tipicamente occidentale, che prevede la realizzazione solo a partire da se stessi), che sia stata soggetta a rinunce e a sofferenze silenziose non importa: perché quello che esiste tra lei e Roger, che non è nominabile se non per vaghe e imprecise allusioni, va ben al di là della semplice riconoscenza.
E la vecchiaia, tema dominante del film affrontato senza facili fughe fantastiche consolatorie ma con sguardo allo stesso tempo duro e sereno, assume la forma di una culla, in cui addormentarsi infine al ritmo lento di dolci dondolii.
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