In una valle del Trentino l’incontro di due solitudini
Presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia chiusasi lo scorso mese, La prima neve è il secondo lungometraggio di finzione di Andrea Segre.
Apprezzato documentarista – il suo debutto 15 anni fa con Lo sterminio dei popoli zingari – il cineasta grazie al suo esordio narrativo Io sono Li ha conquistato un’immediata credibilità e stima che gli hanno permesso non solo di fare incetti di premi, ma anche di essere accredito come una delle voci più interessanti e originali nel panorama nel nuovo cinema italiano.
Così come la precedente pellicola raccontava la storia dell’amicizia amorosa tra un’immigrata cinese con uno jugoslavo adottato dall’Italia, anche al centro di quest’ultima opera c’è un rapporto tra due diverse solitudini.
“Le cose che hanno lo stesso odore debbono stare insieme”, afferma uno dei personaggi del film. E in effetti è quanto succede a Dani, rifugiato che dal Togo è arrivato nella valle trentina dei Mocheni dove è ospite di una casa di accoglienza, e al piccolo Michele, bambino di 10 anni che ha da poco perso il padre.
Lo stesso Dani, che aspira a raggiungere Parigi, dovrebbe occuparsi della propria neonata di un anno, ma il dolore per la morte della madre della neonata gli impedisce di avvicinarla. Sarà il bosco il luogo dell’incontro tra due personaggi che a causa di due drammi diversi ma simili vivono ai margini e che per questo desiderano senza saperlo trovare conforto l’uno nell’altro.
Segre, oltre ad affidarsi alla fotografia di una garanzia come Luca Bigazzi, realizza quella che Rossellini chiamava “l’amalgama”, ovvero l’accostamento di attori (Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Roberto Citran) e non professionisti, in uno scambio proficuo di esperienze che crea un’impressione di realismo altrimenti irrealizzabile.



