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La sottile linea che separa la pace dalla guerra è spesso più fragile di quanto si pensi. Anche dopo la firma di un accordo di pace, la guerra continua a vivere nel cuore e nella mente delle persone. Le immagini e le notizie sui conflitti armati ci inseguono attraverso i social media, amplificando emozioni come l’ansia e la desensibilizzazione.
In un mondo in cui l’informazione scorre incessantemente, i conflitti non sono più eventi lontani, ma realtà quotidiane che colpiscono profondamente.
Il dolore e l’angoscia delle guerre si insinuano nel quotidiano e diventano parte della nostra esperienza, anche se non si è fisicamente coinvolti.
Il trauma vicario e la sua manifestazione
Quando ci si trova di fronte a scene di violenza, il cervello reagisce come se si stesse vivendo quell’esperienza. L’amigdala, una piccola area del cervello che gestisce le emozioni legate alla paura, si attiva, portando il corpo a uno stato di allerta.
Questo meccanismo di difesa, sebbene utile durante l’evoluzione umana, può rivelarsi controproducente nel contesto digitale odierno.
Effetti dell’esposizione continua
Studi di neuroimaging hanno rivelato che le persone esposte in modo ricorrente a contenuti traumatici, siano essi reali o mediati, mostrano un’attivazione persistente dell’amigdala, rendendo difficile per il cervello tornare a uno stato di calma. Questa condizione può sfociare in uno stato di stress cronico, manifestandosi con ansia, irritabilità e difficoltà di concentrazione, fino a sintomi riconducibili al disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
Doomscrolling: la spirale dell’ansia
Un fenomeno preoccupante che si è diffuso con l’aumento delle informazioni digitali è il doomscrolling, un termine che unisce ‘doom’, che significa rovina, e ‘scrolling’, ovvero il gesto di scorrere le notizie sui propri schermi. Questa pratica descrive l’abitudine di scorrere compulsivamente contenuti negativi, come notizie di guerre e disastri, alimentando un ciclo di ansia e malessere.
La dinamica del doomscrolling
Il doomscrolling si autoalimenta: l’ansia spinge a cercare informazioni, e la continua esposizione a contenuti angoscianti alimenta ulteriormente l’ansia stessa.
Questo circolo vizioso può compromettere seriamente l’equilibrio emotivo, rendendo difficile interrompere il ciclo. Inoltre, gli algoritmi dei social media, progettati per catturare l’attenzione, propongono incessantemente contenuti che rinforzano questa spirale negativa.
Desensibilizzazione e assuefazione al dolore
Con l’esposizione ripetuta a contenuti traumatici, il cervello, per proteggersi, inizia a desensibilizzarsi. Questo meccanismo, sebbene sembri una forma di protezione, può portare a una ricerca di contenuti sempre più intensi per provare emozioni. La desensibilizzazione può trasformarsi in una vera e propria assuefazione, simile a quella provocata da sostanze che inducono dipendenza.
Il corpo, infatti, continua a reagire con tensione, anche se la mente sembra indifferente. Le persone possono apparire distaccate, ma spesso l’ansia e la tensione si manifestano in sintomi fisici come irritabilità e insonnia. La mente può essere stanca di reagire, mentre il corpo rimane in un costante stato di allerta.
Strategie per gestire l’impatto dei contenuti traumatici
È fondamentale imparare a gestire l’esposizione a contenuti che possono influenzare negativamente la salute mentale. Anche se non è possibile controllare ciò che appare sui propri schermi, si possono adottare strategie per limitare il loro impatto. Fare pause dai social media, disattivare la riproduzione automatica dei video e scegliere fonti di informazione affidabili e non sensazionalistiche sono alcuni dei passi che si possono intraprendere.
Inoltre, parlare con persone fidate o professionisti, praticare tecniche di mindfulness e dedicare tempo ad attività fisiche possono aiutare a riequilibrare mente e corpo. È importante evitare di discutere incessantemente di eventi traumatici, poiché condividere troppo può significare rivivere il trauma.



