La scomparsa di Patò, film che segna la prima volta di Andrea Camilleri al cinema, esce nelle sale venerd’ 24 febbraio. Lo abbiamo visto in anteprima per voi
Andrea Camilleri: un nome che è diventato, a torto o a ragione, un faro all’interno della letteratura nazionale contemporanea (esportato in tutto il mondo, tra l’altro).
Le avventure del commissario Salvo Montalbano sono ormai conosciute praticamente da tutti, e almeno una volta i suoi lettori e gli spettatori della fiction tratta dai romanzi polizieschi a lui dedicati avranno provato a imitare quel divertente pastiche linguistico che è la parlata di Vigata.
Il primo tentativo cinematografico dello scrittore siciliano era quindi atteso con grande trepidazione. Eccolo arrivare questo venerdì nelle sale italiane, dopo essere stato presentato al Festival Internazionale del Film di Roma: La scomparsa di Patò, tratto dall’omonimo romanzo, diretto da Rocco Mortelliti, con Nino Frassica, Maurizio Casagrande, Neri Marcorè, Alessandra Mortelliti, Flavio Bucci, Gilberto Idonea, Manlio Dovì, Simona Marchini, Franco Costanzo e Roberto Herlitzka.
La trama, che riprende fedelmente l’intreccio dell’originale romanzo-dossier, si sviluppa attorno alla scomparsa di Antonio Patò, impiegato di banca nella Vigata del 1890, marito devoto, padre amorevole e apprezzato interprete di Giuda nella recita del Mortorio (la Passione di Cristo).
Proprio durante lo spettacolo l’uomo scompare cadendo nella botola usata per metterne in scena l’impiccagione, e non viene più ritrovato dagli altri attori. Del caso si occupano il responsabile della Pubblica Sicurezza di Vigàta Ernesto Bellavia, proveniente dal Nord (ovvero Napoli) e i Reali Carabinieri nella persona del maresciallo Paolo Giummaro. Inizialmente in competizione, i due vengono costretti a unire le forze: conoscendosi meglio stabiliscono un rapporto di amicizia e, pur riuscendo a veire a capo della spettacolare sparizione, dovranno trovare una soluzione alternativa alla semplice e pura verità, un lusso che non è possibile permettersi…
Confezionato in maniera professionale, il film non è poi molto distante da quanto si può vedere in una normale puntata del Commissario Montalbano. Un buon prodotto televisivo, ma davvero non c’è molto altro. Ci si chiede infatti come mai il progetto sia arrivato sul grande schermo piuttosto che essere presentato come un evento catodico.
Tutto nella pellicola ha un’aura di aurea mediocratis. Le interpretazioni misurate e apprezzabili lasciano soddisfatto chi vuole godersi dei bravi attori (ma Nino Frassica normalizzato, privato dei suoi giochi di parole, è un personaggio come un altro); la musica, un misto manierato tra il noir e certi melodrammi morriconiani, è piacevole (ma la canzone finale, sulla scia di “Italia amore mio” cantata da Pupo e Emanuele Filiberto di Savoia, grida vendetta); la fotografia non presenta sussulti, se non per qualche bello scorcio paesaggistico e per un paio di sequenze notturne suggestive.
Dei romanzi di Camilleri rimangono in mente i personaggi, di solito: ma questa volta, purtroppo, i protagonisti del film sono figurine accessorie, più funzioni narrative che delle persone reali e concrete. La dimostrazione di ciò sta nel fatto che si capisce davvero quel mondo a parte che è la Sicilia solo quando la lingua inventata da Camilleri viene posta al centro dell’attenzione. E per un film tratto da un’opera letteraria questo dato è uno scacco non da poco.
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