La guerra in Libia di Al Jazeera e i narci-pacifisti italiani, da Vendola a Feltri tutti alla ricerca di un posto nei talk show

Sull’intervento militare che gli occidentali, con l’appoggio riluttante della Lega Araba, stanno conducendo  in Libia le perplessità e i dubbi sono molti: non appaiono chiari gli obiettivi, il comando, gli interessi in gioco, la exit strategy e persino gli interlocutori (chi sono davvero i rivoltosi di Bengasi?). Soprattutto la scelta di intervenire è parsa a molti affrettata, e quel che più inquieta dettata da una conoscenza della situazione approssimativa, basata principalmente sulle notizie fornite dai media, e in particolare da Al Jazeera.

La cui affidabilità in questa circostanza si è rivelata ben lungi dall’essere impeccabile.

Il problema è che i media occidentali, a corto di fonti e riscontri oggettivi, hanno sostanzialmente preso per oro colato ciò che veniva detto dall’emittente del Qatar, senza un vero lavoro di verifica e senza le cautele necessarie. In Italia uno dei pochi che in televisione ha da subito avanzato dei dubbi sulle cifre che venivano fornite, che parlavano a pochi giorni dalla contro-offensiva del colonnello di migliaia di morti e dell’aviazione lealista che faceva strage di civili, è stato Enrico Mentana sul suo Tg la 7.

Vi ricordate per esempio quelle immagini terribili di fosse scavate nella spiaggia di Tripoli, fornite come prova di uno spaventoso eccidio dai telegiornali di tutto il mondo e che in realtà riguardavano un cimitero attivo fin dall’agosto scorso, dove a guardar bene le tombe in preparazione erano solo una decina e non vi era traccia di cadaveri?

Uno dei tanti esempi di una informazione non esattamente impeccabile, che sembra avere ceduto in più di una circostanza al sensazionalismo e che si è forse fatta manipolare troppo facilmente dai ribelli.

Insomma, che i governi occidentali pianificono un’azione militare quasi esclusivamente sulla base dei reportage di Al Jazeera, come pare sia successo, desta più di una perplessità. Ciò non toglie che, dopo la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’operazione appaia pienamente legittima e che Gheddafi sia un dittatore sanguinario di cui, se dovesse cadere, nessuno sentirà la mancanza.

E comunque è indubbio che la risposta al desposta libico, al di là degli interessi interni degli stati occidentali coinvolti, abbia il merito di non spezzare il sogno delle rivoluzioni arabe e possa fungere da monito e da deterrente per altri regimi in bilico o comunque sempre meno amati dalla popolazione e in particolare dai giovani.

In questo senso il solito club dei pacifisti italiani che si sta nuovamente attivando desta più di una perplessità, anche per la sua scombiccherata composizione: da Vendola a Feltri e Sgarbi, si potrebbe dire, senza dimenticare i mal di pancia leghisti, anche se quelli del Carroccio sembrano più preoccupati dell’invasione dei profughi che interessati al rispetto di nobili ideali umanitari.

Tutto ciò succede solo in Italia, come rileva Cohn-Bendit, perché negli altri paesi le forze politiche e l’opinione pubblica sono pressoché compatte nel sostegno all’offensiva contro la repressione di Gheddafi. Facile capire l’eccezione italiana: nei talk show ci sono tante sedie vuote da assegnare a chi è contrario all’intervento e dunque i pacifisti si moltiplicano.

(In alto un’immagine del conflitto in Libia, fonte: notizieitaliane.it).

Scritto da Style24.it Unit
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