Bella mariposas di Salvatore Mereu ci ricorda la passione e l’amore per l’arte cinematografica. C’è da chiedersi se tutto questo è ancora compatibile con le regole dello show business
Girare un film senza un produttore, investendo i propri risparmi per realizzarlo. Scegliere una storia difficile, scommettendo sulla sua rappresentazione per immagini da un testo stilisticamente complesso e originale. Una storia ambientata nella periferia popolare di Cagliari, cioè niente di più lontano da ciò che è trendy e commerciale, dalla ricerca facile di successo e applausi.
Rimanere fedeli a quella storia, mantenendo i dialoghi nel semisconosciuto dialetto locale e decidere di dirigere due ragazzine principianti, per rendere al meglio la freschezza e la genuinità delle giovani protagoniste.
Tutto questo ha fatto Salvatore Mereu con Bellas mariposas, film tratto dall’omonimo racconto di Sergio Atzeni, che ha incantato critica e pubblico del festival di Venezia e che si è guadagnato il premio della critica indipendente come opera più significativa della mostra e il premio Schermi di qualità.
Ora, se ancora il meccanismo dello show business ha un senso, se è cioè funzionale all’arte cinematografia e non piuttosto di ostacolo, Bellas mariposas dovrebbe immediatamente trovare un distributore importante ed essere proiettato in tutte le sale d’Italia. Purtroppo, non è detto che vada così.
(In alto un’immagine del film con le giovane protagoniste. Nel cast c’è anche Micaela Ramazzotti).
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