Oreste da Euripide di Marco Bellocchio: al Teatro Vascello

Il delitto contro la madre, forse il più grave al mondo, in scena a Roma

Correva l’anno 1965, la contestazione sessantottina era già nell’aria ma le future proteste studentesche non avevano ancora trovato un esito compiuto.

Un giovane regista debuttava con un film che avrebbe sconvolto il pubblico italiano, I pugni in tasca, grazie alla messa in scena della disgregazione dell’istituto della famiglia e della sclerotizzazione dei rapporti interni alla società. 

Dipingendo una situazione di stallo esistenziale, da cui uscire unicamente attraverso l’imborghesimento passivamente accettato o la violenta e sterile ribellione nichilista, Marco Bellocchio cominciava a ragionare sulla sorte riservata a un Paese incapace di uscire dalla tradizione ma già pesantemente colluso con la modernità.

Al Teatro Vascello di Roma dal 21 al 24 marzo va in scena Oreste da Euripide, del cineasta bobbiese per la regia di Filippo Gili. Nato da uno studio presentato la scorsa estate al Festival del Teatro Antico di Veleia, lo spettacolo parte dalla tragedia greca di Oreste per proporre un parallelo con la sorte di Ale de I Pugni in Tasca.

Non a caso, a fare da filo di congiunzione tra due vicende di matricidio così simili eppure così distanti nel tempo, c’è proprio il figlio di Bellocchio, il Pier Giorgio che abbiamo visto recentemente in Bella addormentata e già protagonista della riduzione teatrale del lungometraggio d’esordio del padre.

Oreste, con la complicità della sorella Elettra, uccide la madre Clitennestra per vendicare il tradimento di Agamennone e per ristabilire l’appropriata gerarchia socio-famigliare; Ale invece si avvede del disfacimento del piccolo nucleo dal quale è incapace di uscire e, stimolato anche dal rapporto incestuoso con la sorella Giulia, riversa il proprio desiderio frustrato di realizzazione sulla madre cieca, che ormai ha perso qualsiasi controllo sui figli.

Il primo matricida attende di essere giudicato dai suoi pari, quando vede uscire dalle mura della città la defunta Clitennestra.

Sotto le sue spoglie però si nasconde la madre di Ale. Tra i due uomini, beffati dal destino che ha consegnato loro delle carte truccate, si instaura un dialogo a distanza che travalica i 2500 anni di distanza che li separano.

Fratelli nel tempo, accomunati da un crimine ma non dalla stessa sorte finale: se Oreste viene perdonato grazie all’intercessione di Apollo o alla trasformazione delle Erinni in Eumenidi (a seconda della versione del mito), Ale invece è lasciato a se stesso come un moderno Raskol’nikov privo del dono della coscienza.

Forse a significare che per noi, oggi, non c’è più salvezza?

Scritto da Style24.it Unit
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