Nuovi dati: Berlusconi e la destra si prendono tutto lo spazio in tv, ma i numeri non sono tutto

Arrivano nuovi dati dall’Osservatorio di Pavia, questa volta riguardanti tutti i programmi Rai e non solo i telegiornali, ma la musica non cambia: lo spazio in video dedicato ai politici è presidiato stabilmente dagli onorevoli del centro-destra, primo tra tutti il premier che monopolizza quasi il 14 per cento del tempo complessivo. Poi, ben distanziati, figurano i soliti Gasparri, Lupi, Santanchè insieme al leader di Futuro e Libertà, Gianfranco Fini, in compagnia del fido braccio destro Italo Bocchino. Del Pd quasi non c’è traccia: il principale partito dell’opposizione, che comunque la si pensi continua ad essere votato da un italiano su quattro, si deve accontentare delle briciole e pare avere meno visibilità persino di Di Pietro.

Tra l’altro questi dati di tipo quantitativo, sebbene abbiano il vantaggio di presentarsi sotto i crismi dell’oggettività: i numeri sono numeri e non si discutono, sono capaci di mostrare solo una parte della questione. Ci informano sulla durata del messaggio, ma nulla ci dicono sul suo contenuto.

Per intenderci: in tutti paesi accade che l’informazione televisiva riservi maggiore visibilità al governo e al premier o presidente: accade perché l’audience vuole essere informata sulle misure prese, sull’andamento delle politiche avviate, sullo stato di avanzamento della risoluzione dei problemi in agenda. Insomma l’esecutivo appare molto – anche se mai quanto in Italia – perché deve rendere conto ai cittadini del suo lavoro e deve rispondere di tutte le critiche che gli provengono dall’opposizione, dai media e in generale dalla società civile.

In Italia tutto questo non accade o accade molto poco, perché lo spazio dedicato al governo – pensate al Tg1 giusto per fare un esempio facile – è più uno spazio promozionale che giornalistico, o nel migliore dei casi di informazione cronachistica da agenzia di stampa o da gazzetta ufficiale. Nessuna inchiesta, nessuna domanda, nessuna critica: si va dal giustificazionismo rispetto a quello che non va alla pubblicità rispetto a quello che funziona, o che si racconta che funzioni. Spesso garantendo al politico una sorta di spazio autogestito: il giornalista si riduce alla funzione di portamicrofono e l’intervistato può fare il suo comizio indisturbato.

Insomma da noi il problema è duplice e mettersi a contare i minuti fornisce semplicemente un’indicazione di quella che è, senza ombra di dubbio, una vera occupazione dell’informazione pubblica, che da tempo si è dimenticata il motivo della sua stessa esistenza: garantire il pluralismo.

Scritto da Style24.it Unit

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