Il ritorno alla commedia grottesca del decano del cinema iberico
Erano più o meno 15 anni (anno 1997, Carne tremula) che Pedro Almodovar non portava al cinema una pellicola definibile, anche solo in senso lato, commedia.
Durante questi 3 lustri infatti abbiamo avuto modo di apprezzare la vena melò del maestro del cinema spagnolo, il quale ha deciso di tornare con questo Gli amanti passeggeri a quel tipo di film leggero, aggraziato, svampito, nevrotico, labirintico e vagamente trash che aveva contraddistinto tutta la prima parte della sua carriera.
Almodovar ritorna a una costruzione drammaturgica di tipo corale, che se da una parte viene affidata ad attori molto noti del panorama spagnolo (Antonio Banderas, Penelope Cruz, Paz Vega), dall’altra richiama i caratteristi dei suoi film precedenti o rivela personaggi poco noti in Italia (Blanca Suarez, Javier Cámara, Raúl Arévalo, Carlos Areces, Lola Dueñas, Cecilia Roth, Hugo Silva).
In un film che il regista stesso ha paragonato per gag verbali e fisiche alle classiche screwball comedy americane degli anni 30 e 40 la peculiare ambientazione è quella di un aereo diretto a Città del Messico.
In seguito a un’imprevista avaria il personale e i passeggeri corrono un grave rischio: tuttavia, mentre tutta la economy class viene sedata segretamente a furia di narcotici, i viaggiatori della business subodorano l’intrigo e decidono di inscenare una grande festa allo scopo di passare al meglio quelle che potrebbero essere le loro ultime ore.
Tra steward gay iperbarocchi e senza freni, una coppia di novelli sposi coatti, un finanziere truffatore disperato per l’abbandono della figlia, un dongiovanni impenitente con la coscienza sporca, una veggente rurale, una regina della cronaca rosa e un messicano dalle fattezze da gangster ci sarò di che divertirsi.
Sopratutto se le fatidiche telefonate finali verranno trasmesse in radiodiffusione e se, per esorcizzare la morte, si consumeranno rapporti fugaci in totale assenza di riservatezza…
