Giovanni Allevi e Beethoven: “Un mito, meglio di un metronomo”

Ancora Allevi, ancora critiche, e ancora polemiche… latita invece l’umiltà

Ricorderete tutti le dichiarazioni di Giovanni Allevi che avevano provocato grande scalpore tra appassionati e non: in pratica il presunto salvatore della musica classica, interpellato come ospite al Giffoni Film Festival, aveva paragonato in senso storico-musicale Beethoven e Jovanotti, sottolineando la maggiore incisività e importanza dell’elemento ritmico nelle composizioni di quest’ultimo.

Il riccioluto pianista però non ci sta e, raggiunto dall’Adnkronos, ha voluto rettificare e chiarire quanto riferito dai giornali (una tendenza simile a quella di un famoso personaggio politico):

Non accetto il modo in cui quella frase mi è stata attribuita.

Non mi permetterei mai di dirlo, musicalmente è un non-senso: anche un metronomo che batte a vuoto sta esprimendo un ritmo, figuriamoci Beethoven

Come al solito il tentativo di corsa ai ripari sembra essere peggiore dell’errore originale: stando alle parole di Allevi allora Mozart varrebbe almeno due metronomi legati insieme.

Scherzi a parte procediamo oltre e immergiamoci nelle esternazioni programmatiche del presunto genio:

Beethoven continua ad essere un grandissimo esempio, un mito da cui partire, dal quale però bisogna trovare il coraggio di prendere le distanze perché è nostro dovere creare e sognare una nuova musica che racconti il nostro tempo.

Trovo entusiasmante poter comporre oggi una musica sulle stesse forme della classicità, che contenga quel ritmo così vicino alla sensibilità dei giovani. È questo il mio concetto di musica classica contemporanea. Il mio essere ribelle è sempre costruttivo, ed oggi non è il momento di distruggere ma di ricostruire.”

Non si può dire che il compositore sia stato benedetto dal dono dell’umiltà, come ci ricorda anche il Corriere della Sera di quasi cinque anni fa.

In occasione dell’uscita del suo secondo diario artistico (il secondo!!!) si leggevano alcune pagine, come per esempio la collaborazione con il tanto osannato Lorenzo Cherubini: un’ottima esperienza, guastata solo dal bullismo della band del cantante, urtata dalla presunzione di Allevi.

Citiamo testualmente. Gli dicono che c’è bisogno di improvvisazioni alla Chick Corea. “Basta chiedere” risponde. E la sua sicurezza, la sua conoscenza di Corea (“Il mio mito“) viene presa per spocchia; “Io non avevo bisogno di fiori colorati, volevo solo un imbianchino”, prova a consolarlo Lorenzo.

“Ma allora dovevi chiamare un imbianchino e non un pittore”, replica lui.

E ancora il trionfante sms inviato al produttore al termine della masterizzazione del suo album Evolution: “Da questo esatto momento la musica classica non sarà più la stessa“.

Ritroviamo così anche l’ossessione per la ritmica tanto amata dai giovani, suo vero cruccio e tormento: “È necessario affidare agli strumenti d’orchestra una ritmica che sia la cifra della contemporaneità, quella ritmica che può essere concepita solo nel nostro tempo e che i i grandi compositori del passato non potevano immaginare.

Tra l’altro il nostro eroe è così immerso nel proprio tempo e libero dalle pastoie del passato che non prende mai in considerazione l’enorme lavoro compiuto sul ritmo dalla musica elettronica, questo sì un vero segno rappresentativo della contemporaneità, a differenza delle sue canzoncine di pop orchestrale degne della muzak da ascensore o di qualche brutta sigla di un cartone animato degli anni ’80.

L’idea di classico contemporaneo di Allevi è allora quella di una versione scoppiante, allegretta o struggente di una hit del momento, arrangiata per strumenti il cui timbro poco riflette il mondo in cui viviamo e dotata ovviamente di uno spiccato senso del ritmo; con le dovute proporzioni si tratta praticamente dell’inverso di ciò che facevano gruppi come Emerson Lake & Palmer, i quali riprendevano melodie classiche riadattandole alle esigenze di un trio di basso tastiera e batteria.

E se persino degli assi come quei tre non riuscirono a evitare gli sberleffi di parte della critica come può pensare oggi Giovanni Allevi, passati ben 40 anni da quella versione di progressive rock, di sfuggire alla pubblica gogna del web? 

Foto: Getty Images

Scritto da Style24.it Unit
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