Gianni Min… vs Aldo Grasso. Anzi, Aldo Grasso vs Gianni Min…

Mi trovo in difficoltà. Non saprei a chi dare ragione.

Da Dagospia

Lettera di Gianni Minà
Con le puntate dedicate a Tognazzi e Vianello (l'ultima volta che furono riuniti in uno studio televisivo) e a Cassius Clay-Muhamad Ali, ho terminato su Rai Tre la rilettura di alcune puntate di «Blitz», un programma di intrattenimento innovativo che, 27 anni fa, Rai Due mandava in onda nei pomeriggi domenicali. Per l'occasione Aldo Grasso ha ripresentato il solito pezzo di invincibile antipatia nei miei confronti che tira fuori da 15 anni, ogni volta che si occupa del mio lavoro.

E questo nonostante che dal 1998 il fastidio di recensire quello che faccio gli è stato praticamente risparmiato perché, dopo la Rai della Moratti, anche la Rai di Celli e Zaccaria e di tutti i dirigenti di destra e di sinistra succedutisi dopo di loro hanno pensato bene di tagliarmi fuori, senza che il libertario critico del Corriere spendesse mai una parola. E' bastato però che Paolo Ruffini, direttore di Rai Tre, mi invitasse a collaborare dopo dieci anni esatti dall'ultimo programma realizzato, il notturno «Storie», non per varare un'idea nuova, ma solo per recuperare un «materiale storico», perché il malumore di Grasso diventasse incontenibile.

E così, nell'epoca dei tronisti o di trasmissioni che rovistano nell'immondizia della vita, ha sentenziato che quella televisione divulgativa e ambiziosa era kitsch. La tv in cui De Niro recitava in diretta per noi o Fellini accompagnava in studio Mastroianni perché ballasse con la Fracci o il presidente Pertini telefonava in diretta per salutare la sua attrice preferita, Anouk Aimée, quella era una televisione insopportabilmente kitsch. Ma soprattutto lo era il mio modo di presentare e di dialogare con questi protagonisti.

Un malumore così sfacciato si commenta da solo. Ma ora, alla fine di questo lavoro di recupero, ho pensato che non si poteva confondere il pubblico in questo modo, solo per capriccio o perché a Grasso disturba che il pubblico possa avere qualche «confidenza estetica» e non rimanga, invece, prigioniero della tv dei format o dei reality show, tanto cara al modello, per Grasso indiscutibile, della tv di adesso. 

Se Rai Tre troverà il tempo e il budget per continuare in questa riproposta di «Blitz», l'illustre critico scoprirà, per esempio, che per raccontare la Sicilia ci azzardammo a ospitare per un intero pomeriggio, in studio, Leonardo Sciascia e, da Mazara del Vallo, a raccontare la vita grama dei pescatori, c'era Pippo Fava, dopo pochi mesi assassinato dalla mafia. Un vero scandalo.

E se avrà pazienza, Grasso scoprirà, magari con orrore, che un giorno stette con noi, per quattro ore, anche Giorgio Strehler con tutti gli attori che avevano reso leggendaria la storia del Piccolo Teatro di Milano così come fece Fabrizio De André, che in tv non ci andava mai, ma condivise con noi la puntata sulla poesia insieme a Joan Baez e Gregory Corso. Perché facevano tutto questo? Per amore del kitsch, ovviamente. Quel kitsch che faceva amar loro una tv di contenuti e non la tv di apparenza che Grasso, spesso, esalta credendola à la page.

Per quanto riguarda, poi, il mio linguaggio, è lo stesso usato, per esempio, quando intervistavo per il Corriere García Márquez o Scorsese, o che ho utilizzato nei documentari che mi hanno permesso, recentemente, di vincere al Festival di Montreal e mi hanno fatto premiare alla carriera a Berlino e Siviglia. Ma forse lì, Grasso non sanno chi è.
Gianni Minà

La risposta di Aldo Grasso
Caro Minà, anche da Gigi Marzullo vanno moltissime persone, pure illustri. Vedo che fra i suoi tanti meriti non elenca la famosa intervista a Fidel Castro, il più grande esempio storico di intervista compiacente.
Aldo Grasso

Scritto da Style24.it Unit
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