Vita di Pi: trailer, trama e recensione del film di Ang Lee

Un viaggio spirituale in mezzo all’oceano assieme a una tigre feroce: questo è il momento culminante della vita di Pi

Per molti anni, probabilmente da quando è stato pubblicato l’omonimo libro di Yann Martel da cui è tratto il film, la realizzazione cinematografica di Vita di Pi è stata una sorta di scommessa impossibile, rimpallata come la più classica delle patate bollenti.

Nel tempo si sono succeduti nella virtuale e ipotetica cabina di regia personalità eccellenti come M.

Night Shyamalan, Alfonso Cuaron e Jean Pierre-Jeunet. Tutti però hanno gettato la spugna, fondamentalmente perché il soggetto di partenza sembrava infilmabile. 

È poi arrivato a prendere le redini del progetto Ang Lee, cineasta taiwanese che ricordiamo per i recenti I segreti di Brokeback Mountain, La tigre e il dragone e Lussuria. Lee ha imposto al film il suo caratteristico stile visuale, aiutato dal direttore della fotografia Claudio Miranda e da un imponente reparto preposto agli effetti speciali e alla stereoscopia, creando delle immagini incantevoli e terribili che riescono a meravigliare e a mettere in soggezione lo spettatore.

Ma di cosa parla dunque Vita di Pi? Come dice il titolo stesso la pellicola racconta dei primi anni dell’infanzia di Pi, ragazzo indiano figlio del proprietario di uno zoo. Affascinato dalle religioni di tutto il mondo, dotato di una curiosità e di una sete di conoscenza inestinguibile, il giovane si avvicina alle tre principali religioni del Paese (Induismo, Cristianesimo e Islam), abbracciandole tutte, in una sorta di sincretismo new age.

Il padre, uomo razionalista e pragmatico, cerca di inculcare nello svagato adolescente un po’ di senso pratico, minacciando le sue “felici illusioni”. La dimostrazione avviene attraverso il sacrificio di una capra, divorata da una una tigre feroce: Pi impara a sue spese che negli occhi dell’animale non balugina lo splendore dell’anima, ma solo l’istinto primordiale del cacciatore.

La famiglia di Pi decide in seguit di trasferirsi in Canada.

Purtroppo durante la traversata in mare la nave su cui sono imbarcati anche tutti gli animali dello zoo è vittima di un naufragio spaventoso. Il ragazzo riesce a salvarsi salendo su una scialuppa, ma qui ha una sorpresa sconvolgente: sull’imbarcazione è presente Richard Parker, l’enorme tigre conosciuta in precedenza. Per riuscire a superare indenne il viaggio verso l’ignoto i due dovranno imparare a convivere, evitando di uccidersi l’un l’altro.

Diviso in tre diverse e distinte sezioni, Vita di Pi è un film che, come abbiamo già accennato, punta tutto sul poderoso apparato visivo. La parte centrale del naufragio, sicuramente quella più corposa, poteva infatti incorrere nel rischio della monotonia più mortifera, a casua della relativa mancanza di spunti. Tuttavia Ang Lee, con un sapiente uso della macchina da presa, riesce a donare una forma ben precisa e affascinante a una materia apparentemente informe come l’acqua, ulteriore protagonista della vicenda narrata. Il culmine di questa maestria viene senz’altro raggiunto nella fragorosa sequenza della tempesta, sensorialmente (quasi tattilmente) una delle cose più potenti mai viste al cinema.

Il resto, in parte, applica la lezione già imparata nei wuxiapian poetici degli anni 2000 del regista: colori e luci vividissimi, ambientazioni irrealmente belle, momenti di strabordante (forse anche eccessiva) invenzione visiva, cui si aggiunge un 3D che si fa sentire con forza in molte occasioni, un uso del digitale spregiudicato – particolarmente evidente nelle sequenze più concitate – e un sezionamento delle inquadrature molto rigoroso, che riesce quasi a far dimenticare l’omogeneità dell’ambientazione.

A uno sguardo superficiale il film potrebbe sembrare una riproposizione del viaggio di Noe, mentre invece si tratta di un viaggio soggettivo e disincantato nella storia di Giobbe. Il tema principale, infatti, è quello della fede, affrontato con un cipiglio fieramente pragmatico e riduzionista.

Con un’abilità degna di un equilibrista l’opera riesce ad accontentare sia il laico che il credente. È nel finale infatti, con un twist degno del migliore Shyamalan, che le due anime di Vita di Pi – quella materica e disperata della lotta contro la tigre e quellla contemplativa e mistica dell’imperscrutabilità del disegno divino e del creato – che si rivelano allo spettatore  (in una sequenza monologante che richiama da vicino l’epilogo di Non è un paese per vecchi).

Peccato però che tutto ciò sia da ascrivere al romanzo originario, e che molto di quanto il film vuole esprimere venga inserito nella cornice dialogica e non nel corpo principale della vicenda. Ang Lee, in conclusione, ha confezionato delle immagini dal forte impatto emotivo (la tensione durante gli scontri con la tigre è palpabile e resa magnificamente, per esempio), ma non è riuscito a far sì che queste fossero davvero comunicative in modo autonomo, trasformando così l’operazione in una meravigliosa e potente illustrazione di un testo intrigante e dal grande potenziale.

Non un male assoluto per un’opera cinematografica, ma un limite che impedisce a Vita di Pi l’eccellenza che sembra ricercare con convizione.

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Scritto da Style24.it Unit
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