To the Wonder: trailer, trama e recensione film di Terrence Malick

Grande e solenne delusione per una pellicola molto attesa

To the Wonder è stato presentato per la prima volta durante la Mostra del Cinema di Venezia dell’anno scorso, dove non ottenne alcun tipo di riconoscimento ma anzi venne accolto in modo piuttosto controverso da un mix di fischi e di applausi.

Ricezione critica alquanto differente rispetto a quanto successo a Cannes al precedente film di Terrence Malick, l’acclamato The Tree of Life che ottenne la Palma d’oro e divenne uno dei casi cinematografici dell’anno.

Esiti divergenti, quindi, per due opere che in realtà condividono lo stesso impianto formale e una struttura praticamente identica. Con una più che sostanziale distinzione: se la riflessione che forniva la base teorica di The Tree of Life si rinveniva nel dissidio tra una via femminile della Grazia e una maschile della forza della Natura (intesa come sopravvivenza e istinto di conservazione), riflessa a livello micro e macroscopico, in quest’ultimo sforzo produttivo dell’autore, arrivato sorprendentemente dopo solo due anni, il tema principe sarebbe dovuto essere quello del sentimento dell’amore tra gli uomini, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali e all’opera stessa.

Il condizionale è d’obbligo in questo caso perché, come si scopre dopo qualche minuto dall’inizio del film, Malick non è in grado di, o forse non è interessato a, raccontare la storia di un triangolo affettivo, e preferisce piuttosto concentrarsi sull’Idea filosofico-metafisico dell’Amore. Al texano, insomma, poco importa dei suoi personaggi, delle loro vicende, motivazioni, desideri, turbamenti.

Ben Affleck può anche essere l’americano Neil che in Francia conosce la bellissima Marina (Olga Kurylenko), se ne innamora e decida di portarla con sé insieme alla figlioletta Tatiana avuta da un matrimonio finito male, può anche frapporsi tra i due un’altra donna, la Jane di Rachel McAdams, e in mezzo a tutto ciò può persino saltare fuori un prete in crisi spirituale interpretato da Javier Bardem, il cui ruolo nella vicenda principale sembra puramente un pretesto per introdurre il tema della ricerca di Dio, quell’amore che tutto salva contrariamente alla manifestazione materiale imperfetta e caduca.

Potremmo anche dire che per cinque minuti buoni sembra che la regia venga improvvisamente affidata a Muccino con la comparsa di una Romina Mondello strepitante nel ruolo di una forsennata in evidente stato di esaltazione ribellistica.

Ma sarebbe del tutto inutile, perché per l’ennesima volta ciò cui tende Malick è l’impossibile cattura dell’ineffabile, lo svelamento del mistero dell’imperfetta condizione umana, la contrizione dell’anima in tensione verso l’assoluto.

È evidente allora che l’autore di La sottile linea rossa abbia deciso di riutilizzare il suo ormai consolidato armamentario stilistico (musiche sacrali onnipervasive, illuminazione abbacinante, dolci e carezzevoli movimenti di macchina, assenza totale di dialoghi sostituiti dalla caratteristica voice-over misticheggiante) per riproporre un’altra delle sue disamine heideggeriane.

Casca però male il cineasta, altrove fine e ispirato compositore dell’audiovisivo, che con la sua sinfonia a-narrativa insegue il sogno di penetrare fino nelle segrete stanze del cuore dello spettatore: ci sembra che questa volta il suo sforzo si sia rivolto nella direzione sbagliata, producendo un film stucchevole e irritante ogni dire. In To the Wonder non risuona infatti un inno elevato alla divinità, ma una fanfara goffa e claudicante, l’imitazione glaciale di una canzone d’amore.

Malick ha gioco facile quando inonda lo schermo di immagini naturalistiche di clamorosa bellezza, siano campi, alberi, una spiaggia bagnata dalla marea, un corso d’acqua, le migliori opere d’arte dell’uomo (un elenco senz’altro banale, e non a caso), ma proprio qui il texano è deficitario: come un timido inetto a vivere, come un predicatore oscurantista, come un professorino alle prime armi si pasce lo sguardo di idealità levigate, di astrazioni numinose, di sfavillante splendore, negando qualsiasi cittadinanza nel suo universo a tutto ciò che è materico, concreto, sgradevole e (davvero) doloroso. In una parola reale. E ciò è tanto più evidente quando, senza alcun ritegno, pensa bene di “riscattare” la sofferenza degli ultimi, presenze fugaci nella pellicola, illuminandola con la stessa luce con cui trasfigura ogni caso.

La sua idea dell’amore – quello effettivamente vissuto e non vagheggiato, quello delle persone comune e non dei mistici – è composta da una serie di cliché mimici, di scheletri di scenette domestiche, di minisequenze didascaliche fatte di gesti graziosi, di supremo artificio e stilizzazione. Di morte e non di vita perché ogni cosa è raggelata e in fondo, nonostante le pretese dell’autore, manca qualsiasi palpito, fremito, sospiro.

Se va bene il risultato ottentuo sono grandi risate, al peggio invece è lo sdegno per una concezione tanto ottusa del mondo. E non si nega qui la fascinazione per alcuni momenti del film – non sarebbe intellettualmente onesto – ma si tratta solo di frasi ispirate in una lezione altrimenti pedante rivolta a una piccola cerchia di teorici chini sui libri e ignari di ciò che accade appena fuori dall’aula in cui si trovano.

To the Wonder: l’infinita cartolina dall’Iperuranio infantile e scolastico di Malick

Scritto da Style24.it Unit
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