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Si conclude così un Festival che è piaciuto molto a critica e pubblico
Si è conclusa con una vittoria annunciata (ma non poi così tanto) e una sorpresa (a sua volta non troppo sorprendente) l’edizione del cambiamento del Festival di Sanremo.
La manifestazione condotta da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto è stata premiata da ottimi ascolti, come attesta l’Auditel di ieri: circa 13 milioni e mezzo di spettatori (52% di share) hanno visto la prima parte, e 10 milioni (66%) la seconda, per una media della serata di 13 milioni (53,%).
La media delle 5 serate è invece arrivata all’impressionante cifra di 12 milioni (47,%), il miglior risultato dal lontano 2001.
Il successo ha quindi arriso alla direzione di Fazio e Mauro Pagani, che ieri sera hanno proposto l’ormai solito miscuglio di quelle che una volta si chiamavano alta e bassa cultura. Si è esordito con il maestro Daniel Harding che ha condotto l’orchestra (a rischio estinzione, come annunciato successivamente) in una riproposizione della Cavalcata delle Valchirie di Wagner e della verdiana Marcia trionfale tratta dall’Aida.
Grande commozione radical-chic, rotta poi dall’arrivo di Lucianina nelle vesti della farfallina di Belen Rodriguez grazie all’ennesimo vestito imbarazzante. Il clou è però rappresentato dalla competizione canora, le cui canzoni erano ormai conosciute a memoria da tutto il pubblico per merito dei ripetuti passaggi televisivi. Segnaliamo un luciferino Max Gazzè, dotato di lente a contatto azzurra, orecchino e cappotto di velluto nero stile imperatore, che è arrivato a salire su una poltrona del palco per aizzare la folla dell’Ariston (la canzone rimane quello che è, ma è stata una grande esibizione); e spendiamo anche due parole per Elio e le Storie Tese, apparsi con l’ennesimo travestimento, questa volta da super-ciccioni foderati di gommapiuma.
Altro saliscendi culturale con l’arrivo prepotente ma bonario del pilone della Nazionale di rugby Martin Castrogiovanni, conteso da una Littizzetto che si è arresa definitivamente all’assalto dei suoi ormoni; senzal alcun clamore è invece comparso danzatore tedesco Lutz Forster, interprete preferito della grande coreografa Pina Bausch, il quale ha eseguito The Man I Love, performance basata sul linguaggio dei segni dei sordomuti, ed è poi scappato via.
Chi invece ha calcato più e più volte le assi del palco, anche da scalza, è stata Bianca Balti, l’unica top model coi dentoni, che al netto di una risata squillante e leggermente nervosa e innervosente e una spontaneità fanciullesca si è dimostrata la grande incognita della serata.
Incommentabile il monologo comico-politico di Claudio Bisio che esordisce con estratti dal suo Quella vacca di Nonna Papera, e poi sprofonda in un delirio populista-buonista la cui unica intuizione, purtroppo non sviluppata, è quella dell’identificazione del vero pericolo dell’Italia negli elettori e non nei politici. Peccato, forse la lucidità è venuta meno in quello che in genere è un intrattenitore di buon livello.
Momento commistione musica pop-classica con il ritorno a Sanremo di Andrea Bocelli, accompagnato al pianoforte da Amos (l’ennesimo figlio di papà di questa manifestazione). Ben tre i brani da lui eseguiti col solito trasporto: La voce del silenzio, Love me tender e Quizas quizas quizas. I detrattori continueranno a snobbarlo e gli appassionati ad adorarlo.
E poi il gran finale, momento che tutti attendevano con ansia. Prima la consegna dei primi “minori”, ossia quello della critica, dedicato a Mia Martini, e quello per il miglior arrangiamento conferito dai professori dell’Orchestra Sinfonica.
Entrambi vanno ad Elio e le Storie Tese, con una decisione ben poco diplomatica e forse poco assennata. Sacrosanto quello all’arrangiamento, ragion d’essere de La canzone monotona, ma esaltare così un divertissement à la Frank Zappa privo di spessore (idealmente sarebbe un’ottima ghost track in un cd), è sembrato, più che un attestato di stima per un gruppo che da sempre ha fatto della simpatia e della tecnica – esecutiva, compositiva e testuale – il suo cavallo di battaglia, un vero e proprio smacco per le altre canzoni, tra cui pure figurava qualche pezzo non scontato. Così per dire: La terra dei cachi, per fare un esempio di non poco conto, godeva di un testo rilevante e attuale, non come la metatestualità di questo brano del 2013.
Verificati poi i tre finalisti – Modà, Marco Mengoni e ancora Elio – ecco arrivare il giudizio finale di critica e pubblico. Viene premiata la canzone più sanremese del lotto, quella dotata del ritornello più orecchiabile, della melodia più riconoscibile e del testo sentimentale ma non eccessivamente vieto: è L’essenziale di Marco Mengoni che finalmente spiccica qualche parola sul palco, ringrazia tutti e dedica la vittoria a Luigi Tenco.
Polemiche per il trionfo di un figlio dei Talent? Sì, sono nell’aria e presto sentiremo i soliti lamentii, anche se lo scandalo ipotetico non è minimamente equiparabile all’obbrobrio di un Valerio Scanu o Marco Carta delle scorse edizioni.
Foto: Getty Images
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