Il maestro iraniano alle prese con una storia ambientata nel Paese del Sol Levante
Abbas Kiarostami, regista iraniano tra i più conosciuti, apprezzati e premiati al mondo, dal 2010 ha deciso di ambientare i suoi film di finzione all’estero, lontano da quella patria tanto amata che gli ha prestato paesaggio e ispirazione per i suoi molteplici capolavori.
Copia conforme, il suo primo film da “esiliato”, non è stato accolto con grande favore dalla critica che, prendendone alla lettera il titolo, lo ha letto come una riproposizione stanca di contenuti, situazioni e stilemi del suo cinema.
Per la sua ultima pellicola Qualcuno da amare (titolo originale: Like Someone in Love) Kiarostami, un po’ come fece Sofia Coppola per Lost in Translation, ha deciso di continuare il suo giro del mondo trasferendo il set in Giappone.
La protagonista del film, uno studio rarefatto e raccolto dell’incontro di due solitudini, è Akiko (Rin Takanashi), una studentessa dedita alla prostituzione per pagarsi gli studi. Fidanzata con un ragazzo estremamente geloso (Ryo Kase), dotata di un magnaccia molto intraprendente, dopo aver discusso con quest’ultimo, una sera sale su un taxi e decide di incontrare un anziano professore ormai in pensione (Tadashi Okuno).
Inizia così una sorta di percorso iniziatico per la ragazza, condotta in macchina attraverso le vie di Tokyo dal docente innamorato mentre il fidanzato, furioso ma deciso a sposarla, la cerca insistentemente per tutta la città.
Il produttore Kenzo Horikoshi ha descritto l’inusuale metodo di direzione degli attori del regista, assai diverso dalla preparazione certosina, psicologica e persino atletica, richiesta dalla più parte dei cineasti occidentali:
“[…] il modo di dirigere di Kiarostami è stato del tutto inusuale.
Non ha permesso agli attori di leggere la sceneggiatura per intero e ogni giorno rivelava loro solo i dettagli della scena che sarebbe stata girata il giorno successivo. Gli attori non sapevano quale fosse il ruolo dei loro personaggi nella storia, e neanche come sarebbe finito il film.
[…] Non credo che Kiarostami limiti la libertà degli attori. Credo invece che sia convinto che la vita di tutti i giorni debba riflettersi in un film, e nella vita di tutti i giorni noi non abbiamo la minima idea di quello che ci succederà il giorno dopo o di chi ci innamoreremo.
In effetti mi è sembrato che alla fine gli attori che volevano conoscere il destino del loro personaggio avessero rinunciato, che le loro pretese fossero svanite e che avessero cominciato a godersi la «vita» con naturalezza davanti alla macchina da presa.“



