Processo Ruby: La guerra dei vent’anni, Berlusconi e la difesa tv

Quando la televisione è al servizio della verità. O forse no?

Va oggi in scena presso il tribunale di Milano la ripresa del cosiddetto processo Ruby, nel quale l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è imputato per concussione e induzione alla prostituzione minorile.

Proprio in queste ore l’udienza riprende con la requisitoria di Ilda Boccassini, nemica per eccellenza del fu premier e attuale “leader ombra” delle forze del centrodestra.  

Ancor prima dell’accusa, però, ieri sera su Canale 5 è andata in onda la difesa televisiva ufficiale del Cavaliere che, in frutta e furia, ha chiesto ai giornalisti italiani di produrre qualcosa che sta a metà tra la docu-fiction e il servizio d’inchiesta dall’evocativo nome – lo si deve ammettere – La guerra dei vent’anni: Ruby, ultimo atto.

D’altro canto, si sa, come ci hanno insegnato i migliori film americani in cui un innocente è accusato ingiustamente, ogni mezzo è utile per scagionare chi sta per essere stritolato dalla crudele e cieca macchina giudiziaria.

E allora cosa può fare un pover’uomo come Berlusconi, che negli ultimi anni, anzi decenni, è stato al centro di innumerevoli controversie legali, se non appellarsi al buon cuore dei professionisti della comunicazione e chiedere loro l’aiuto che ritengono di essere in grado di offrire?

Per rendere possibile il trionfo della giustizia, ma quella vera, la rete ammiraglia di Mediaset (solo per un fortuito caso appartenente all’imputato) ha avuto l’onere l’onore di trasmettere “la prima ricostruzione televisiva del caso di cronaca giudiziaria che da tre anni divide l’Italia“, come si legge nel comunicato stampa.

Inevitabile anche un po’ di spettacolarizzazione, utile per far passare il messaggio dell’estraneità ai fatti dell’accusato, ma solo in funzione di un obiettivo che è quello di “riepilogare e rendere comprensibile al grande pubblico l’intricata trama, degna di un avvincente legal thriller“.

Proprio per questo motivo si rimane sbigottiti, increduli e amareggiati nel constatare il fallimento a livello di gradimento popolare della coraggiosa e ardita operazione (5,8% share per 1,4 milioni di spettatori): è vero, lo si deve ammettere, forse sarà stato uno spettacolo leggermente di parte e non aderente alla perfezione ai canoni del giornalismo d’inchiesta. 

Ma si deve comprendere che certe “infrazioni” alla deontologia professionale, ancora una volta ce lo ricordano tutte le pellicole di genere, vengono poi perdonate se concorrono a ristabilire la verità, quella vera vera, sanare il vulnus sociale e sconfiggere l’odio politico che da tanto troppo tempo affligge il meraviglioso e libero Paese che si chiama Italia.

Scritto da Style24.it Unit
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