Le streghe di Salem: trailer trama e recensione film di Rob Zombie

Lo Zombie regista torna in sala con un film dedicato a Satana e ai suoi accoliti

Lo aspettavano tutti al varco, Rob Zombie, quando debuttò nel mondo del cinema con il suo La casa dei 1000 corpi nell’ormai lontano 2003.

E invece il regista-cantante-musicista riuscì a convincere esperti del settore e appassionati, con una pellicola che, per quanto trasudante rispetto e devozione per i maestri dell’horror, lasciava trapelare una discreta originalità e una voglia di sperimentare il linguaggio filmico.

Il successivo La casa del diavolo ottenne un successo di critica anche maggiore, contribuendo a far assurgere il buon Zombie al rango di nuovo vate del genere. I due remake della saga di Halloween, tuttavia, per quanto spingessero ancora di più sul pedale della personale rivisitazione di stilemi classici (questa volta in una direzione che si potrebbe definire mitico-favolistica-archetipica), delusero però un po’ tutti, sopratutto per quanto riguarda il farraginoso e inconcludente secondo episodio, invero non privo di un certo fascino.

Dopo una parentesi nel cinema d’animazione ecco arrivare in questi giorni l’atteso Le streghe di Salem, film prodotto in piena autonomia, con tutte le conseguenze positive (totale libertà di produzione e scrittura) e negative (budget di basso livello, un milione e mezzo di dollari) del caso. Ancora una volta, e ben più del solito, gran parte del peso della pellicola ricade sulle spalle, e sul fondoschiena più volte inquadrato in versione nature, della musa-moglie Sheri Moon, mentre gli altri personaggi sono figurine di poco conto e nullo spessore narrativo.

Heidi, la protagonista, è una dj radiofonica di Salem (la leggendaria città della caccia e dei roghi di streghe) che conduce assieme a due colleghi un programma di grande successo. Esempio perfetto della controcultura alternativa rock che potrebbe piacere tanto a Zombie, la donna un giorno riceve in trasmissione un misterioso cofanetto di legno all’interno del quale è contenuto l’album in vinile dei fantomatici Lords of Salem. La messa in onda dell’inquietante musica riporterà in vita una maledizione che si era assopita, dando il via non solo al risveglio delle forze satanico-pagane insite nelle donne in ascolto ma anche al ritorno di Satana, destinato a venire generato dal ventre della prescelta Heidi.

Un canovaccio interessante, per quanto derivante dall’idea alla base di Rosemary’s Baby di Roman Polansky (regista cui Zombie si rifa molto in questo film, assieme a Kubrick, Lynch, Jodorowsky e l’horror italiano anni 70), che avrebbe meritato miglior sorte ma sopratutto uno sviluppo in una qualsivoglia direzione. Come già mostrato nelle sue opere precedenti, il cineasta-musicista è piuttosto disinteressato alla narrazione, al racconto, all’affabulazione: questo limite-caratteristica veniva però controbilanciato negli exploit del passato da una grande capacità di rielaborazione e personalizzazione dell’immaginario horror, facendo talvolta gridare all’abusato termine “visionario”, e da un processo di accumulo quasi insostenibile.

In Le streghe di Salem tutto ciò non c’è, e la povertà della struttura, esibita senza timore nelle sue precarie tessiture, è evidente sin dall’inizio: il film è quanto di più lineare, scontato, banale e puerile si possa immaginare, e si rifa a una sequela adolescenziale degli stereotipi più triti della più vieta cultura metal-satanica. Inutile invocare il ricorso all’ironia e al gioco, perché di distanza raggelata dalla materia narrata non c’è traccia alcuna, e in ogni caso è proprio la mancanza di un gusto iperbolico per lo shock visivo a colpire di più, strizzatine d’occhio o meno.

A parte la breve apoteosi finale, infatti, con la sua orgia pop-fluo di papi blasfemi, cardinali mostruosi, infanti abominevoli e caproni luciferini, il film è di una vacuità rara, caratterizzato da un’oscillazione paurosa tra il didascalismo più pedante e la noia cosmica derivante dell’assenza di eventi (che in questo caso non ha nulla a che vedere con il fascino astratto di un’atmosfera rarefatta o l’angoscia di una minaccia latente).

Il possibile sottotesto della possessione diabolica come metafora della tossicodipendenza è in teoria suggestivo, se non fosse ben poco coerente con lo sviluppo delle premesse. P una leggera foschia che una vera e propria traccia luminosa, insomma. Cosa rimane dunque alla fine della visione di Le streghe di Salem? Cosa intravvedono gli occhi malignamente estatici di Heidi, compiutosi il suo destino?

Tentiamo una risposta: un’opera troppo ambiziosa, figlia di pretese d’autore che non rispondono, o si adattano male, allo stile e al talento di un Rob Zombie che, evidentemente, sa fare altro. Non è una colpa, basta riconoscere i propri punti di forza e le proprie debolezze, facendo leva sui primi e cercando di porsi al riparo dalle seconde. Ma non l’esatto contrario.

Scritto da Style24.it Unit
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