È consuetudine che a Natale, o la sera della vigilia, si porti tutta la famiglia al cinema.
Spesso sono presenti dei bambini e per questo motivo si decide di “livellare” la scelta filmica verso il basso, pensando di venire incontro alle loro esigenze e aspettative scegliendo il classico cartone animato, che altrimenti non si visionerebbe neanche grazie famoso metodo Ludovico di Arancia meccanica.
Questo Natale ci è andata decisamente bene con Ernest & Celestine, un’opera che riesce a parlare sia ai più piccoli che ai grandi, incantando entrambi ma parlando con chiarezza e sottigliezza ai più sensibili tra gli adulti.
La pellicola, una coproduzione belga – lussemburghese – francese, è tratta da una serie di storie illustrate della belga Gabrielle Vincent, messa in scena dal trio già autore di Panico al villaggio (Benjamin Renner, Stéphane Aubier e Vincent Patar) ma sopratutto sceneggiata dal celeberrimo romanziere Daniel Pennac.
La trama del film vede il mondo di Ernest & Celestine, come esplica il titolo, diviso in due: in superficie vivono gli orsi, che hanno costruito una civiltà che ricorda molto il primo novecento francese o europeo in generale, mentre sottoterra è il regno dei topolini, che faticosamente, grazie ai loro denti, riusciti a scavarsi una nicchia di comodità che può essere paragonata all’Inghilterra industriale di Charles Dickens.
E proprio in quello che pare un orfanotrofio britannico vive la piccola Celestine, topina che viene indirizzata alla carriera di dentista nonostante la sua passione la spinga verso il disegno e la pittura. Proprio durante una delle sue incursioni al piano superiore (scopo è il furto dei denti dei bambini orsi) incontra Ernest, una sorta di bohémien dal talento musicale e istrionico che vive di espedienti.
Per i due il primo approccio sarà molto difficile perché entrambi i gruppi temono gli altri: i topi sono infatti terrorizzati dalla malvagità e ferocia degli orsi, mentre questi sono infastiditi e schifati dalla presunta sporcizia dei roditori.
Una volta superate le reciproche diffidenze (che in realtà, significativamente, per quanto riguarda i due protagonisti, sono da addurre solo all’iniziale selvaticità di Ernest) i due inizieranno a conoscersi, comprendendo di avere trovato un compagno di avventure nell’altro.
A un certo punto, però, in seguito a un “incidente diplomatico” i due saranno costretti a rifugiarsi nella casa sperduta nel bosco e sommersa dalla neve di Ernest. Le forze dell’ordine non faticheranno nel ritrovarne le tracce e presto la coppia dovrà affrontare il giudizio del rispettivo ambiente di provenienza.
Per quanto riguarda il lato puramente tecnico, il film è graziato da dei disegni eterei, simili a degli acquerelli dai toni autunnali, da un tratto che fa dell’imprecisione e della vaghezza la sua cifra principale, che però con tratti evanescenti riesce a rendere incisivamente le psicologie e i comportamenti dei protagonisti. Nota di merito anche la colonna sonora, che va di pari passo con una vicenda costellata di gag fisiche e visive, forse non troppo originali ma sempre molto divertenti.
Il film infatti è poco infantile (nel senso di banale e semplicistico), ma di una semplicità essenziale ed efficace; anche grazie alla misuratissima e calibrata sceneggiatura di Pennac (il lavoro di scrittura è evidente e di gran pregio), si esplorano molti temi interessanti e persino adatti al periodo storico in cui stiamo vivendo.
Anzitutto c’è un bello schizzo della paura del diverso: non essendo un film compiacente e pacificato, intelligente abitudine del buon cinema francese, la separazione tra i due mondi non viene rotta dal formarsi dell’amicizia tra Ernest e Celestine, ma permane inalterata anche nel finale.
I due, dal canto loro, riescono invece a capirsi e a istituire un rapporto di fiducia e di affetto sopratutto grazie alla loro condizione di artisti. Simbolicamente isolati dal mondo, privi delle preoccupazioni di una vita regolata e scandita solo dal lavoro e dal rigido inquadramento della società, la topina e l’orso possono supplire alle mancanze dell’uno e apprezzare le qualità dell’altro, istituendo uno scambio che esula dalla normale logica del do ut des.
Se ancora non fosse apparso chiaro lo affermo chiaramente, a costo di sembrare un folle e antiquato romantico idealista: Ernest & Celestine è un film di un vibrante sentimento anti borghese, in cui il disprezzo per la grettezza della folla e della massa indistinta è chiaro e messo in evidenza in controluce grazie alla delicatezza con cui invece si dipinge un sano e fecondo otium silvestre.
Il vero incubo non è, sembra volerci dire Pennac, la furia dell’orso cattivo o la turba di topi che divorano ogni cosa: è piuttosto la prospettiva di divenire come la coppia composta dal negoziante di caramelle e dalla rivenditrice di denti, che considerano il prossimo unicamente come un mezzo per arricchirsi. Meglio allora, fino a che si può (ma forse è sempre possibile) ingozzarsi di dolci, suonare una cantata al pianoforte e schizzare il ritratto di un orso bonario.
Il vero film di Natale è questo. Io vi ho avvertiti, la scelta è vostra.
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