Servizio pubblico, Di Pietro e Report: sulla cattiva informazione

Servizio pubblico ieri chiarisce la posizione di Di Pietro sull’inchiesta (non sempre chiara) di Report: non esistono 56 case dell’ex pm, sono solo tre più stalle e porcile dell’azienda agricola. Vediamo chi ha sguazzato nel fango e perché

Ieri Servizio pubblico di Michele Santoro ha fatto, scusate il gioco di parole, un buon servizio pubblico ai suoi telespettatori: con Antonio Di Pietro in studio, ha messo un po’ d’ordine sul mare d’illazioni e fantasie scatenatosi dopo l’inchiesta di Report sul leader dell’Italia dei valori.

Un’inchiesta, quella della trasmissione condotta da Milena Gabanelli, che aveva raccontato di una gestione fin troppo allegra dell’Idv da parte del leader, con immobili dell’ex magistrato affittati al partito, la moglie messa tra i soci fondatori, delle finanze che si ventilava potessero transitare dal finanziamento pubblico alla famiglia Di Pietro. Quest’ultimo aspetto, certamente il più grave, è stato oggettivamente trattato con poca chiarezza e una certa leggerezza da Report: certo nel servizio si avanzava solo qualche perplessità, ma sarebbe stato corretto evidenziare che sulla vicenda si era già espressa la magistratura, non ravvisando nessuna irregolarità, e anzi condannando per diffamazione chi si ostinava a sostenere il contrario.

Il punto, rilevato da Travaglio durante il suo monologo, è che il servizio di Report è stato ripreso dalla maggior parte dei media in modo confuso, distorto e sostanzialmente scorretto, parlando del tutto a sproposito – tra le altre cose – di 56 immobili di proprietà dell’ex pm, quando in verità si tratta di tre appartamenti e dell’azienda agricola di famiglia (che certo consta di diverse unità immobiliari, ma non mi pare il caso di mettersi a contare stalle e porcilaia).

In studio si è ventilata l’ipotesi di una sorta di complotto o meglio di ritorsione mediatica, e certo qualche nemico di Di Pietro che ha sguazzato con dolo in questa storia c’è stato di sicuro, ma secondo me per la stragrande maggioranza dei casi si può parlare di colpa. C’è molta sciatteria nell’informazione d’oggi – spiace dirlo ma soprattutto in quella online: si fa del copia e incolla alla cieca, si scrive senza controllare le fonti, si naviga allegramente nel populismo anticasta perché così il successo di pubblico è assicurato. Ma qua, se non ci mettiamo a lavorare con un po’ di serietà, rischia di venir giù tutto; soprattutto poi non ci si stupisca se il parlamento prepara leggi punitive contro l’informazione!

P.S. Abbastanza penosa invece la difesa d’ufficio di Marco Travaglio su Beppe Grillo per la vicenda del diktat anti talk show: chi si iscrive in un club, dice il vicedirettore del Fatto, dovrebbe conoscerne le regole ed essere pronto a rispettarle, altrimenti va da un’altra parte. Troppo facile ribattere che, se mi iscrivo in un movimento che si dice democratico e anzi più democratico di tutti, ho la legittima aspettativa di discutere le regole insieme agli altri, e non di vedermele imposte dal guru.

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Scritto da Style24.it Unit

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