Obama e le speranze del web 2.0

Giuro che da domani si torna alla tv, ma i cambiamenti epocali non dovrebbero mai passare inosservati, quindi meglio sottolineare tutti gli aspetti del "dopo 4 novembre" per chiudere il discorso intorno a questa nuova rivoluzione americana.

Da anni ormai vi parlo di web 2.0, e lo faccio usando uno degli strumenti di questa affascinante galassia. Siccome per una volta trovo su un quotidiano nazionale un articolo che ben illustra quale sarà il futuro del web dopo il terremoto Barack Obama, vorrei chiudere il cerchio dei festeggiamenti con un argomento che mi sta particolarmente a cuore.
«Il 2008 è il nuovo 1776! (l’anno della rivoluzione americana, ndr). E forse il 2009 sarà il nuovo 1777, l’anno in cui abbiamo avuto una Costituzione». Due giorni dopo l’elezione di Barack Obama, il fondatore di Craiglist, il sito di annunci più ricco del web, che si chiama Craig Newmark, parla alla Stanford University. Newmark è contento; si sente parte della rivoluzione. Ricorda il ruolo cruciale dei social sites e dei blog in questa campagna. Dice che anche Craiglist «promuoverà gli sforzi di chi vuole diffondere nuove idee per governare oggi e nel futuro». Per governare.
La Silicon Valley, dalle otto di sera (Pacific Time) del 4 novembre, si sente abbastanza al governo. Operosamente al governo: per dire, le finestre della sede di Facebook su University Avenue a Palo Alto restano accese tutta la notte come quelle dello studio di Mussolini a piazza Venezia (oggi come quelle dello studio di Angelino Alfano a via Arenula, ma forse non c’entra molto). Uno dei fondatori di Facebook, Chris Hughes, è stato una colonna della campagna di Obama e della sua «Internet strategy». E Obama qui lo chiamano «il Google della politica». Non solo per l’enorme successo veloce; per la conoscenza delle nuove tecnologie e la capacità di usarle come nessun altro leader, finora. Anche per questo qui ha preso il 70 per cento dei voti, in certi sobborghi ricchi ha avuto 70 volte più finanziamenti del medio distretto postale americano; hanno tifato per lui gli imprenditori del Web 2.0 come i paladini dell’Internet strumento di democrazia e creatività collettiva come Laurence Lessig.

L’inventore di Creative Commons è professore alla Stanford Law School e ha appoggiato già dal 2007 (con un video su Youtube) Obama, di cui è stato collega alla University of Chicago (curiosità: nell’ostensione globale-totale della biografia del neopresidente, i media che effettivamente tifavano per lui pietosamente hanno taciuto sul fatto che sia un ex professore universitario; causa storico anti-intellettualismo americano non avrebbe avuto una chance). Comunque. Passati i festeggiamenti, c’è una Silicon Valley obamiana libertaria (di destra?) e una Silicon Valley obamiana liberista (di sinistra?). Spesso non è proprio una frattura, è più una schizofrenia; a volte si tratta delle stesse persone a diverse ore della giornata. Quando lavorano nella aziendina o aziendona che hanno fondato, dicono «mi aspetto che Obama mantenga la sua promessa di eliminare tutti le tasse sui capital gains per le startup». Quando smettono di lavorare e riaccendono il computer (qui molti girano senza pantaloni, nel senso che stanno in bermuda; quasi nessuno gira senza Mac o pc) magari vanno sul sito di Lessig.

Il «giurista dei digerati» (viene da digitale e letterati, sarebbero gli intellettuali e i creativi della zona) ha creato online l’organizzazione anticorruzione Change Congress e non si fida dei politici: «Passano la maggior parte del tempo a raccogliere soldi per essere eletti o rieletti». Molti di questi soldi vengono dai lobbisti. I lobbisti difendono le multinazionali, i grandi network, i produttori di film e musica. Lessig, che via Creative Commons, siti in cui si mettono a disposizione opere creative e copyright, sostiene che sul web si può condividere, il che è legale, e scaricare, che non lo è; ma lo fanno tutti. Ora vorrebbe che l’amministrazione Obama cambiasse le leggi sul copyright; mantenendolo per le opere nella loro interezza, ma decriminalizzando la condivisione dei files, e l’uso parziale per remix creativi (Remix è il titolo del suo ultimo libro, uno dei pochi effettivamente letti nella valle). E vorrebbe, come molti altri, che Obama mantenesse la sua altra promessa, sulla net neutrality: la neutralità dei provider con cui ci si connette alla rete, in modo che tutti possano accedere a tutto (da senatore, aveva registrato un podcast sul tema,; spiegando che se i grandi provider ottenessero per legge un Internet a due velocità, privilegiato e da barboni, selezionando i contenuti, molti cittadini non potrebbero scaricare neanche le sue parole).

Per ora, Obama ha risposto nominando un veterano di Internet nella sua transition team che valuterà i membri della prossima amministrazione: Julius Genachowski, già capo della commissione obamiana su tecnologie e innovazione. Dovrebbe dire la sua sul capo della Federal Communication Commission, sul segretario al Commercio, su altre nomine importanti. Qualcuno partirà dalla Silicon Valley, si prevede. Qualcuno era già a Chicago la notte della vittoria. Come Sam Perry, venture capitalist della valle e finanziatore elettorale, sulla cui spalla a Grant Park ha pianto Oprah Winfrey, conduttrice-diva della tv e prima sponsor cruciale di Obama. I due non si conoscevano. Ma tutti e due hanno fatto la loro parte, il Google President lo sa.

[Tratto da Corriere.it]

Scritto da Style24.it Unit

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