Spending review 2012: Bersani uccide la sinistra italiana

La spending review taglierà sanità e istruzione, mentre sono previsti nuovi soldi per le scuole cattoliche e su pensioni d’oro e cacciabombardieri non si prevedono risparmi. E Bersani, con Casini, vuole proseguire su questa strada per altri 5 anni

Non ci vuole molto per avere l’ennesima conferma del carattere conservatore del governo Monti, basta leggersi le tabelline della famosa spending review che giornali e tv ci propongono in questi giorni: duecento milioni di tagli all’università che vanno dritti dritti a finanziare le scuole private cattoliche, scure sulla sanità e sui posti letto negli ospedali ma 13 miliardi di euro per gli inutili cacciabombardieri e pensioni d’oro intoccabili. E via di questo passo.

Ora, dopo la caduta di Berlusconi – con la concreta possibilità di salire al governo dalla strada maestra delle elezioni con una coalizione di sinistraBersani ha preferito non fare il passo più lungo della gamba, visto la drammatica situazione economica, e aderire a un governo tecnico di “grande coalizione”. Questo governo è riuscito – in quale misura è ancora difficile dirlo – a rimettere un po’ le cose a posto, soprattutto attraverso una durissima riforma delle pensioni (fatta con i piedi, visto che ha provocato 400.000 esodati a insaputa del premier e del ministro Fornero) e poco altro: di patrimoniale non si è mai parlato, le liberalizzazioni son risultate poco più che uno slogan e la riforma del lavoro è stata giustamente definita una “boiata”, inutile e ideologica.

Ora si passa ai tagli di spesa, di cui dicevamo sopra, e vien da chiedersi: come fa un sedicente partito di centrosinistra a sostenere queste politiche (parliamo del Pd, lo scrivo perché potrebbe non sembrare così scontato)? Ma la domanda è oziosa, perché a quanto pare Bersani e la dirigenza del partito vogliono continuare su questa strada anche per i prossimi cinque anni, visto che il progetto ormai confermato per le prossime politiche prevede un’alleanza con Casini e un coinvolgimento dello stesso Monti, ormai assiso a padre della Patria. Enrico Letta, nipote di Gianni, lo dice senza giri di parole: il governo Bersani sarà in continuità con quello di Monti. Ormai devono solo decidere se mandare Casini o D’Alema al Quirinale!

Se le precedenti alleanze con i famosi moderati – quelle con Prodi e Rutelli per finire con Veltroni – potevano essere giustificate dal disperato tentativo di rosicchiare ogni voto a Berlusconi, in questa situazione politica (con Vendola e Di Pietro che insieme valgono almeno il doppio di Casini) non si capisce la logica di Bersani e company. O meglio, non si capisce se si parte dal presupposto – del tutto errato – che i postcomunisti e il partito di carta che hanno creato sia qualcosa di anche lontanamente assimilabile alla sinistra occidentale.

Non è così, per il semplice fatto che gli eredi del Pci non sono mai stati di sinistra, nel senso occidentale – quindi democratico, liberale e socialista – del termine. Nati stalinisti (vi ricordate di Giorgio Napolitano che applaudiva ai carri armanti sovietici a Budapest nel 1956?), poi evolutisi in consociativi per spartirsi il potere coi finti nemici democristiani; con la fine della Prima Repubblica si sono riciclati in un progetto neocentrista e tecnocratico, di amministrazione più o meno virtuosa dell’economia con zero riforme, conservazione dello status quo e chiusura totale nel campo dei diritti civili.

Oggi dunque non stupisce che la finta sinistra di Bersani, D’Alema e Napolitano scelga l’alleanza con Casini e Monti, col Vaticano, i poteri forti e la grande borghesia. Non ci si poteva aspettare altro da dei relitti del 900 senza idee e progetti, che hanno sbagliato tutto e che ora, su questo non si può che essere d’accordo con Renzi, meritano solo la rottamazione.

Qua abbiamo bisogno di facce nuove e giovani, di ragazzi che quando cadeva il muro di Berlino giocavano con le figurine o non erano ancora nati. Di persone che sono diventate di sinistra pensando a Roosevelt, Kennedy, Martin Luther King, Mandela e i socialdemocratici e laburisti europei che hanno inventato lo stato sociale (e non certo pensando a Mao e Stalin!). Insomma, ci servono leader che hanno ancora un’idea e una speranza di cambiamento della società, non vecchi dinosauri della politica ormai fuori dalla storia.

(In foto: Bersani e Casini, fonte: Infophoto).

Scritto da Style24.it Unit

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