La spending review taglierà sanità e istruzione, mentre sono previsti nuovi soldi per le scuole cattoliche e su pensioni d’oro e cacciabombardieri non si prevedono risparmi. E Bersani, con Casini, vuole proseguire su questa strada per altri 5 anni
Non ci vuole molto per avere l’ennesima conferma del carattere conservatore del governo Monti, basta leggersi le tabelline della famosa spending review che giornali e tv ci propongono in questi giorni: duecento milioni di tagli all’università che vanno dritti dritti a finanziare le scuole private cattoliche, scure sulla sanità e sui posti letto negli ospedali ma 13 miliardi di euro per gli inutili cacciabombardieri e pensioni d’oro intoccabili. E via di questo passo.
Ora, dopo la caduta di Berlusconi – con la concreta possibilità di salire al governo dalla strada maestra delle elezioni con una coalizione di sinistra – Bersani ha preferito non fare il passo più lungo della gamba, visto la drammatica situazione economica, e aderire a un governo tecnico di “grande coalizione”. Questo governo è riuscito – in quale misura è ancora difficile dirlo – a rimettere un po’ le cose a posto, soprattutto attraverso una durissima riforma delle pensioni (fatta con i piedi, visto che ha provocato 400.000 esodati a insaputa del premier e del ministro Fornero) e poco altro: di patrimoniale non si è mai parlato, le liberalizzazioni son risultate poco più che uno slogan e la riforma del lavoro è stata giustamente definita una “boiata”, inutile e ideologica.
Ora si passa ai tagli di spesa, di cui dicevamo sopra, e vien da chiedersi: come fa un sedicente partito di centrosinistra a sostenere queste politiche (parliamo del Pd, lo scrivo perché potrebbe non sembrare così scontato)? Ma la domanda è oziosa, perché a quanto pare Bersani e la dirigenza del partito vogliono continuare su questa strada anche per i prossimi cinque anni, visto che il progetto ormai confermato per le prossime politiche prevede un’alleanza con Casini e un coinvolgimento dello stesso Monti, ormai assiso a padre della Patria. Enrico Letta, nipote di Gianni, lo dice senza giri di parole: il governo Bersani sarà in continuità con quello di Monti. Ormai devono solo decidere se mandare Casini o D’Alema al Quirinale!
Se le precedenti alleanze con i famosi moderati – quelle con Prodi e Rutelli per finire con Veltroni – potevano essere giustificate dal disperato tentativo di rosicchiare ogni voto a Berlusconi, in questa situazione politica (con Vendola e Di Pietro che insieme valgono almeno il doppio di Casini) non si capisce la logica di Bersani e company. O meglio, non si capisce se si parte dal presupposto – del tutto errato – che i postcomunisti e il partito di carta che hanno creato sia qualcosa di anche lontanamente assimilabile alla sinistra occidentale.
Non è così, per il semplice fatto che gli eredi del Pci non sono mai stati di sinistra, nel senso occidentale – quindi democratico, liberale e socialista – del termine. Nati stalinisti (vi ricordate di Giorgio Napolitano che applaudiva ai carri armanti sovietici a Budapest nel 1956?), poi evolutisi in consociativi per spartirsi il potere coi finti nemici democristiani; con la fine della Prima Repubblica si sono riciclati in un progetto neocentrista e tecnocratico, di amministrazione più o meno virtuosa dell’economia con zero riforme, conservazione dello status quo e chiusura totale nel campo dei diritti civili.
Oggi dunque non stupisce che la finta sinistra di Bersani, D’Alema e Napolitano scelga l’alleanza con Casini e Monti, col Vaticano, i poteri forti e la grande borghesia. Non ci si poteva aspettare altro da dei relitti del 900 senza idee e progetti, che hanno sbagliato tutto e che ora, su questo non si può che essere d’accordo con Renzi, meritano solo la rottamazione.
Qua abbiamo bisogno di facce nuove e giovani, di ragazzi che quando cadeva il muro di Berlino giocavano con le figurine o non erano ancora nati. Di persone che sono diventate di sinistra pensando a Roosevelt, Kennedy, Martin Luther King, Mandela e i socialdemocratici e laburisti europei che hanno inventato lo stato sociale (e non certo pensando a Mao e Stalin!). Insomma, ci servono leader che hanno ancora un’idea e una speranza di cambiamento della società, non vecchi dinosauri della politica ormai fuori dalla storia.
(In foto: Bersani e Casini, fonte: Infophoto).