Quella par condicio da rottamare che porta l’Italia in Birmania, tra la censura del Pdl e le paure della sinistra

La definizione migliore della situazione l'ha data Lucia Annunziata che, di ritorno dall'Iraq, ha commentato: "Lì potevo parlare liberamente di elezioni, di sunniti e sciiti, qui non posso intervistare Rosy Bindi". Ma anche Luca Barbareschi non è stato da meno, parlando di "censura birmana". Certo la scena a cui abbiamo assistito ieri in via Teulada, con giornalisti – c'erano tutti, da Vespa a Santoro – che protestano per poter andare in onda contro la censura di stato non è da paese democratico e ricorda invece molto da vicino realtà come quella evocata da Barbareschi, che pure è del Pdl.

C'è da dire che il regolamento approvato in Commissione di vigilanza non obbligava a una scelta tanto drastica, quale quella di cancellare le trasmissioni di informazione politica, ma i pretoriani del Cavaliere messi a dirigere la Rai evidentemente hanno colto la palla al balzo, offerta gentilmente dall'idiozia dei radicali, per realizzare un vecchio sogno mai sopito di Berlusconi: oscurare Santoro e tutte le trasmissioni in qualche modo fuori dal suo controllo.

Ma onestamente non si può nemmeno parlare di scelta arbitraria, perché la delibera del Cda Rai si basa su un regolamento che a sua volta deriva da una legge del parlamento, quella appunto sulla par condicio, approvata dieci anni fa dal centro-sinistra. Una legge illiberale, che fu votata per tentare di contenere il colossale conflitto d'interessi del leader della destra, per rispondere in modo straordinario a un'emergenza, ma che comunque rimane una norma a dir poco imbarazzante per un paese democratico.

Ma poi, ci sarebbe da chiedersi, è servita a qualcosa? Ha contenuto in qualche modo la straordinaria capacità delle televisioni del monopolio berlusconiano di fare propaganda e generare consenso per il premier? La risposta è evidente a tutti: non è servita a nulla. Le tribune elettorali e gli spazi di comunicazione politica riservati a tutti i partiti durante le campagne elettorali sono sistematicamente rifiutati dal pubblico e dunque inutili e la norma che vieta alle trasmissioni di intrattenimento di invitare politici è ridicola. Come se gli show del Biscione avessero bisogno di un Gasparri o un Cicchitto per fare propaganda per il partito del loro padrone!

E allora la sinistra dovrebbe avere un po' di coraggio e buttare alle ortiche questo pasticcio indecente, reso addirittura grottesco e "birmano" dalla geniale sortita dei radicali in Commissione vigilanza. Dunque si cancelli tutto, conservando semplicemente il divieto di pubblicità elettorale in televisione, norma che esiste in molti paesi europei, che non offende la libertà di nessuno e che, soprattutto, evita lo scandaloso spettacolo di Berlusconi che si fabbrica gli spot in casa e vende spazi televisivi ai suoi avversari politici. Per il resto: facciamo entrare un po' di libertà nell'aria soffocante e asfittica dell'informazione televisiva italiana.

Scritto da Style24.it Unit

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