Quando la chirurgia estetica è troppo: il perché dell’ossessione

Evelyn Novello

Nata a Milano nel 1995 e laureata in Comunicazione pubblica e d'impresa. Nel 2016 mi sono avvicinata al mondo del giornalismo e da quel momento non più smesso di scrivere.

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Tutte abbiamo quel piccolo difetto fisico che proprio non sopportiamo.

Alcune, magari per qualche secondo, avranno pensato di risolverlo definitivamente rivolgendosi a un chirurgo, così da vedersi finalmente più belle. Pensiero comprensibile e di cui non c’è nulla di cui vergognarsi se rimane confinato a quella parte del corpo, a quel piccolo inestetismo che proprio non ci piace. Il problema sorge nel momento in cui il “ritocchino” diventa una serie di interventi che sfiorano la vera e propria dipendenza dalla chirurgia plastica che fa dimenticare il fatto che comunque si sta parlando di un’operazione, con numerosi rischi annessi.

Quando la chirurgia estetica è troppo

Proprio di pochi giorni fa è la notizia della morte dell’influencer Joselyn Cano, 30 anni, conosciuta come la Kim Kardashian messicana, mancata sotto ai ferri per complicanze dovute ad un’operazione di “sollevamento glutei”. Conosciuta per le sue forme prosperose e per i suoi 13 milioni di follower, Joselyn Cano era parecchio conosciuta. Viveva a Newport Beach, in California, e si era recata in Colombia per un intervento di chirurgia estetica, un’operazione per gonfiarle i glutei, pare però che, per un errore, il grasso le sia stato iniettato in vena, entrando nel flusso sanguigno e formando coaguli che le sono stati fatali.

L’operazione non è quindi esente da rischi, anche molto seri: uno studio ha rivelato che il tasso di mortalità di questa procedura è di circa 1 su 3000 mentre secondo Usa Today, i dati dicono che potrebbe arrivare fino a 1 su 5000.

Ma non sono solo gli interventi di brazilian butt lift, rimodellamento dei glutei, oggetto di critiche per la loro pericolosità. La liposuzione è uno degli interventi più richiesti e anche quello che può provocare i maggiori problemi se non eseguito da un esperto.

Le complicanze che ne derivano possono dipendere dall’infiltrazione di una quantità eccessiva di anestetico o dalla rimozione di una quantità eccessiva di grasso, senza dimenticare la possibilità che grumi di grasso o coaguli di sangue in grossi vasi possano arrivare ai polmoni con rischi tromboembolici. C’è poi chi, per la somministrazione del solo anestetico, accusa malori ancora prima di sottoporsi all’intervento, come nel caso di Alessia Ferrante, 37 anni, deceduta lo scorso aprile.

Doveva subire un intervento proprio di liposuzione ma qualcosa è andato storto e ha accusato un arresto cardiaco poco dopo l’anestesia.

Numerosi potrebbero essere gli esempi di incidenti avvenuti a causa di quella punturina che col tempo poi diventa una vera e propria ossessione. E si inizia da giovanissime. Ragazzine che chiedono ai genitori di rifarsi una certa parte del corpo con l’obiettivo di piacersi di più, magari assomigliando a quel prototipo di corpo femminile che ci propina Instagram.

Proprio per colpa di questa bellezza tanto perfetta quanto finta, gli interventi di chirurgia plastica probabilmente si susseguiranno, con i rischi annessi che abbiamo citato prima. C’è un nome per questa ossessione, si chiama disturbo di dismorfismo corporeo e indica proprio il continuo ricorrere al chirurgo con la speranza di aumentare la propria autostima, che effettivamente cresce appena conclusa un’operazione ma che poco dopo lascia posto alla frustrazione per non essere ancora abbastanza.

L’insoddisfazione per il proprio aspetto torna e l’unica soluzione per sentirsi più attraenti è tornare sotto ai ferri. Il risultato di questo disturbo si traduce in alcuni casi in cambiamenti radicali del proprio aspetto fino a rendere chi ne soffre quasi sfigurato.

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La visione distorta del proprio aspetto ha alla base chiaramente un problema di tipo psicologico. L’incertezza dovuta ai cambiamenti del proprio corpo, il costante giudizio altrui, il bisogno di dover piacere obbligatoriamente a tutti sono forse i tratti che accomunano la maggior parte delle adolescenti, vittime di un’insicurezza di base legata all’età il cui effetto è triplicato a causa della dipendenza dai social.

Il problema non è il social in sé, ovviamente, ma il messaggio che passa implicitamente, cioè quello che una ragazza per piacere, e quindi avere successo (e follower), deve avere certi tratti somatici tra cui una certa taglia di reggiseno, le labbra gonfiate, gli zigomi evidentemente sollevati, i glutei senza un centimetro di cellulite e i capelli perfettamente curati. Ma questo è palese anche solo osservando ragazze che diventano famose grazie a qualche programma tv e che, da carine che erano, diventano qualche mese dopo così esteticamente perfette da essere quasi irriconoscibili.

I ritocchi sono sempre gli stessi e guardando alcune delle loro foto post operazione si potrebbe pensare che siano state rifatte con lo stampino da tanto si somigliano tra loro. Tutte uguali e tutte alla ricerca di quella fama che solo quell’aspetto può dare.

La vera criticità, insomma, è alla base. Tutte siamo state adolescenti e tutte abbiamo qualcosa che non ci piace nel nostro aspetto ma ciò che fa davvero la differenza è quello su cui puntiamo per avere successo nella vita.

La classica frase retorica secondo cui “l’aspetto esteriore non è tutto” contiene molta verità: la bellezza aumenta sicuramente l’autostima ma nel 99% dei casi non sarà la chiave di svolta della nostra vita e della nostra carriera. Se ci sono un disagio e un’insicurezza di fondo, il corpo esteriore sarà solo la punta dell’iceberg, una minuzia che ci dà la sensazione di poter essere risolta facilmente con un’operazione, modificata e migliorata come d’incanto, ma il problema reale rimarrà e non svanirà fino a che non inizieremo un reale percorso di autoaccettazione.

Nessuna operazione chirurgica sarà mai abbastanza e i confronti con gli altri ci ricorderanno continuamente i nostri difetti ma tutto parte da noi. Abbiamo l’incredibile possibilità di scegliere, se essere soddisfatti o no di noi stessi, se apprezzarci per ciò che siamo o no. Ogni cosa diventa un problema solo se crediamo che lo sia.

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