Lettera di Natale indirizzata a Massimo Boldi con auguri di buone feste

Qualche tempo fa scrissi una recensione di “A Natale mi sposo”, non molto positiva (anzi, era una stroncatura), ma neanche particolarmente mordace o cattiva. Ebbene, la cosa sollevò un polverone mica male, che per un blogger è sempre cosa buona e giusta. Come sicuramente saprete Massimo Boldi chiamò la redazione di Blogosfere e volle replicare alle mie affermazioni, in particolar modo all’ “accusa” di volgarità rivolta al suo film.

La cosa mi fece enorme piacere, è sempre bello avere un riscontro reale di ciò che si scrive, e decisi quindi che avrei risposto anche io alla replica del Cipollino nazionale. Purtroppo gli impegni mi impedirono di scrivere immediatamente, anche perché le questioni sollevate erano decisamente interessanti e meritavano un attimo di riflessione. Quest’oggi vorrei indirizzare una letterina natalizia aperta al comico milanedi Luino, con la quale colgo l’occasione per fare gli auguri di buon Natale a lui e a tutti i nostri lettori.

“Caro Massimo,

sono stato felicissimo di ricevere la tua risposta alla mia recensione, per me è stato un grande onore e una grande soddisfazione riuscire a catturare l’attenzione di un professionista del cinema.

Vorrei qui rispondere alla tue osservazioni, che peraltro hai espresso con grande civiltà e correttezza, nonostante la mia valutazione del tuo film non sia stata molto positiva.

Partiamo dunque dalla considerazione riguardo alla volgarità: mi spiace dirlo, ma non mi trovi d’accordo. Credo che la volgarità resti sempre volgarità, anche se in Parlamento, per le strade, sui giornali o nelle nostre case accadono cose ben peggiori. Ciò non toglie che peti, allusioni sessuali di bassa lega ed echi gastrointestinali siano ancora da catalogare sotto l’indice del “triviale”.

In realtà, parlando con alcune persone, mi sono convinto che ciò non sarebbe neanche un contenuto da criticare, per il semplice fatto che la comicità si è sempre basata su tali elementi. Il fattore che mi ha urtato è che il modo in cui la volgarità è usata nel film è assolutamente fine a se stesso, non solo non ha alcuna forza sovversiva, di critica, di sfottò, ma è anche presuntuoso.

Qua arriviamo al secondo punto: perché non ho riso durante la visione della pellicola? Mi sono dovuto scervellare alquanto, di certo non sono una persona che non guarda commedie o sit com o telefilm comici. La risposta che mi sono dato è stata questa: perché “A Natale mi sposo” ha la pretesa di fare ridere, ma non si impegna in alcun modo nel costruire le gag e le battute. Vengono presentate così, in maniera pacifica ed autoevidente, come se fossero manna scesa dal cielo, per di più facilmente prevedibile, come se giocoforza chiunque dovesse trovarle simpatiche.

Io penso che ciò che è fondamentale nell’arte, nell’espressione comunicativa artistica, non sia tanto il cosa, ma il come: ci sono comici che raccontano le stesse barzellette da secoli, ma ciò che li rende divertenti non è la battuta in sé, ma il modo in cui viene raccontata, quindi la gestualità, la mimica facciale, il modo di porsi rispetto al pubblico, tutto il background che si porta appresso l’attore. Guardando la tua pellicola si ha l’impressione che le vostre siano “perle lanciate ai porci” e che bisogna accettarle di buona lena, altrimenti si fa la figura del maleducato o, ancora peggio dello snob, del radical chic.

Mi riallaccio così ad un’altra questione: il pubblico, o meglio la fiducia che si dovrebbe avere nel pubblico. Si sente ormai frequentemente dire che questo tipo di film hanno successo perché c’è una platea vastissima che li va a vedere, legittimando in questo modo la qualità stessa del prodotto. Si tende così a mirare basso, puntando ad un minimo comune denominatore. Nella mia recensione ponevo il caso di Centochiodi, film splendido, che aveva convinto e commosso moltissimi spettatori, facenti parti di ogni tipo di classe sociale e condizione culturale.

Credo che bisogna avere fiducia nelle capacità, nella curiosità, nell’umanità, nel desiderio di bellezza, nell’intelligenza, nella sensibilità delle persone che vanno al cinema a vedere un film. Passare due ore in allegria non significa necessariamente spegnere il cervello, non significa subire passivamente, non significa rendere ottusi i propri sensi. Un film, un quadro, una canzone, un libro non sono oggetti che si utilizzano, non sono mezzi per raggiungere uno scopo: sono piuttosto delle versioni artistiche di un dialogo tra me e chi ha prodotto l’opera, tra le mie aspettative, la mia visione del mondo e ciò che ha voluto esprimere l’autore, nel modo che meglio ha creduto adatto alle proprie necessità. Si potrebbe imparare tanto se ci si accostasse in maniera aperta, disponibile, volenterosa verso l’atto comunicativo-espressivo, senza avere pretese che debbano essere necessariamente soddisfatte nel modo in cui aspettiamo, pena la nostra delusione preventiva.

Il rispetto credo poi sia dovuto anche ai personaggi che vengono creati nell’universo filmico: è incontestabile che “A Natale mi sposo” è popolato da macchiette, e non da persone. Come ci si può appassionare a personaggi del genere, che nulla hanno da dire su loro stessi o su di noi? Ci importa che i due giovani si sposino o meno? Cosa ci tange dello scontro tra nord e sud, tra condizioni sociali diverse, quando non hanno la minima ripercussione sul racconto?

Il dialetto usato come mezzo comico, qui ci sarebbe da tirarti le orecchie per davvero, Massimo. Sono stato poco tempo fa a Roma in visita da amici e ho avuto modo di assistere a scambi verbali piuttosto accesi e gustosi tra locali: hai presente quale forza, quale spontaneità, quale vivacità, quale forza vitale hanno i romani quando si prendono per i fondelli? La naturalezza con cui tirano fuori espressioni colorite, l’istrionismo meraviglioso che si percepisce se per un attimo ci si ferma ad ascoltare per strada? E, opposta a questa levità, cosa si trova nel tuo film? Espressioni grevi, artificiose, di poco sale, e ancora meno ingegno. Mi dispiace, ma il film fallisce proprio negli elementi più importanti.

Mi chiedo infine: la gente si accontenta, o la facciamo accontentare? Non ci sono sceneggiature interessanti? Con i soldi che impieghi nella produzione di un film del genere puoi andare all’entrata del Dams, fermare dieci studenti e ingaggiarli per scrivere una storia interessante. Ti costerebbe sicuramente meno e sicuramente qualcosa di meno televisivo ne uscirebbe fuori. Magari più pretenzioso, questo sì, ma confiderei nella tua capacità di rimanere ancorato alla realtà. 

Massimo, Cipollino, non so quali siano le tue idee politiche, anzi una mezza idea me la sono fatta, ma non è ciò che conta realmente. Questi in cui viviamo sono tempi bui, di crisi, di incertezza, di indecisione: non ci serve il narcotico, non ci serve la bottiglia di liquore, non ci serve l’oppiaceo. Serve uno specchio, per vedere cosa siamo, cosa siamo diventati e cosa vogliamo fare della nostra vita e della nostra società. Anche un film comico, senza troppe pretese, senza drammi, ma con onestà e sincerità, può fare ciò.

Pensaci, mi raccomando.

In fede,

Alessio

 

P.S. Tanti auguri di buon Natale e buon anno nuovo!

Scritto da Style24.it Unit

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