Le invasioni barbariche dei mercanti che hanno distrutto la civiltà

Da Daria Bignardi spazio agli imprenditori rampanti del nuovo millennio: sono i nuovi barbari?

Daria Bignardi in versione buonista nelle interviste faccia a faccia non rende più come una volta, ma capita che organizzi dei brevi talk, all’interno delle sue Invasioni barbariche, che per composizione degli ospiti e temi trattati possono risultare molto interessanti. Venerdì scorso, per esempio, la Bignardi ha ospitato uno stimolante confronto tra un giornalista e intellettuale come Corrado Augias e un giovane imprenditore rampante che, se non ho capito male, produce gelati di particolare pregio.

In video poi sono state presentate altre testimonianze di giovani uomini d’impresa, uno che nell’assumere i dipendenti guarda più i tatuaggi e i piercing che i titoli di studio e un altro che trattava da fallito il quarantenne che protesta per la sua precarietà. Tutti portatori sani di quella ideologia liberista da quattro soldi, che hanno imparato a ripetere dalla tv, secondo la quale tutto è riconducibile al business e gli unici valori importanti sono quelli di tipo economico.

Si sentono gli eroi dei nostri tempi, e in buona sostanza sono riconosciuti come tali: loro sono quelli che producono, che fanno girare i soldi, che aumentano la ricchezza, che danno lavoro (come e a chi poi è da vedere). Ma sono degli eroi in assoluto o solo relativamente al sistema di valori della nostra società? Domanda oziosa, tutto è relativo al sistema di valori dominante. In un mondo, quale quello occidentale, dove il successo economico è l’unico metro per valutare le persone e dove la felicità di un popolo si misura attraverso il Pil nazionale, è scontato che gli imprenditori occupino la vetta della piramide sociale, siano la classe più potente e riverita.

Ecco forse perché a molti, e con qualche ragione, non piace il nostro tipo di  società, dove le banche, la finanza e i potentati economici controllano la politica e mortificano la cultura. Ho letto da poco un romanzo bellissimo e straordinario, tra l’altro molto divertente, del premio nobel J. M. Coetzee (Tempo d’estate, edito da Einaudi), nel quale lo scrittore racconta – con straordinaria autoironia – la sua vita da giovane adulto senza un soldo, solo, sbandato, costretto a vivere con l’anziano padre e capace solo di guadagnarsi qualche spicciolo con delle ripetizioni. Ecco, un mondo dove uno come Coetzee – almeno prima del suo exploit – appare uno sfigato a me sembra un mondo completamente sballato e senza senso. Con buona pace degli imprenditori della Bignardi.

(In alto un’immagine tratta dal cult movie “Attila flagello di Dio” con Diego Abatantuono).

Scritto da Style24.it Unit

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