L’aggressione a Berlusconi e il processo (un po’ fazioso) al clima d’odio della politica italiana

Dopo l'aggressione contro il presidente del Consiglio, ferito dal colpo di un 42enne psicolabile che ha usato una miniatura del Duomo di Milano come arma contundente, è iniziato in televisione il processo al clima d'odio che si respira nella politica italiana, in particolare contro Silvio Berlusconi. Gli esponenti della maggioranza parlamentare additano senza giri di parole l'opposizione, malata – a loro dire – di antiberlusconismo viscerale e di volontà diffamatoria nei confronti del premier. E citano, a sostegno delle accuse, i sospetti sul coinvolgimento del Cavaliere nelle stragi di mafia, ignorando peraltro che il tema è stato tirato in ballo da un pentito nel corso di un processo, non dalle elucubrazioni dell'opposizione.

Ma poi, che cosa si intende per opposizione? Perché certo, un clima d'odio – chiaramente da condannare se non vogliamo finirla a confrontarci a colpi di souvenir – esiste, ma onestamente non pare ascrivibile ai partiti della minoranza parlamentare che, a parte qualche intemperanza di Di Pietro, mi sembra interpretino il loro ruolo con particolare moderazione. Anche sul caso Spatuzza nessuno si è messo a dare del mafioso al presidente del Consiglio, la linea è stata: la magistratura faccia il suo lavoro e chiarisca. Difficile essere più corretti di così.

Poi certo, se si parla di opposizione in senso lato (giornali, blog, società civile, gruppi antagonisti) allora la critica ha un senso, perché è innegabile che ogni tanto si ecceda nei toni, parlando di dittatura, fascismo o quant'altro certamente a sproposito e senza cognizione di causa.

Detto questo, se si vuole tentare sinceramente di abbassare i toni e i livelli dello scontro, la tesi sostenuta dalla maggioranza e dai suoi giornalisti di apparato disseminati in Rai e Mediaset deve essere quantomeno corretta. Perché il clima d'odio non è alimentato da una parte sola, e le parole pesanti non volano solo contro il governo.

Con una significativa differenza: che mentre nel campo dell'opposizione a esasperare il confronto sono soprattutto minoranze e gruppi che non siedono in parlamento, nel centro-destra non di rado accade che siano proprio parlamentari e ministri a lasciarsi andare a toni da guerra civile. E certo il premier non è da meno quando parla di complotti, di giudici comunisti ed eversivi, di "coglioni" che votano per l'altra parte.

È partita poi la criminalizzazione ai gruppi nati su Facebook che inneggiano all'attentatore armato di souvenir. Ora, premesso che in una democrazia anche gli idioti devono potersi esprimere, la critica contro chi istiga alla violenza è sacrosanta e meritoria. Ma quale credibilità ha un ministro dell'Interno come Roberto Maroni, che ieri è intervenuto allo speciale Tg1 lasciando presagire una stretta sulla Rete che sa tanto di censura, quando il suo leader di partito, Umberto Bossi, un giorno sì e l'altro pure parla di patrioti padani col fucile, di prezzo delle pallottole e di rivoluzione?

Morale: o ci diamo una calmata tutti, senza giocare allo scaricabarile, o la situazione rischia di degenerare.

Scritto da Style24.it Unit

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