I film del 2010 che se ne va: le perle dell’anno (seconda parte)

Ieri avevamo iniziato a parlare dell’anno cinematografico appena trascorso. Ci eravamo soffermati soprattutto su film che avevano deluso le aspettative e sulle pellicole d’animazione. Oggi invece il nostro discorso verterà sui film che hanno segnato,in positivo la stagione e più hanno entusiasmato il pubblico e la critica.

Credo che non si possa non citare Inception: arrivato nelle sale con delle aspettative mostruose ha saputo rispondere con un risultato finale altrettanto clamoroso, totalizzando degli incassi da record. Christopher Nolan, dopo Il cavaliere oscuro, è riuscito ancora una volta a ripetere il difficile abbinamento autorialità-blockbuster spettacolare. Il film infatti porta avanti una poetica personale che si può trovare sin da Memento, quella dell’interrogazione sull’esatta natura della realtà, pur condensandola in sequenze spettacolari (si pensi ad esempio all’ormai iconico ribaltarsi ribaltarsi su se stesso di un isolato intero, palazzi compresi), ritmo serratissimo e il tipico finale aperto che ha fatto scervellare l’intero mondo.

La trottola, cade o non cade?

Altro pezzo da 90 di questa stagione è stato The Social Network, di David Fincher, che si è ripreso splendidamente dopo il pessimo passo falso de Il curioso caso di Benjamin Button. L’analisi socio-culturale di un certo ambiente universitario, le dinamiche relazionali osservate con freddezza e grande cinismo, la scoppiettante vivacità dei dialoghi (vere e proprie perle dello sceneggiatore prodigio Aaron Sorkin) hanno contribuito a rendere questa cronaca della nascita di Facebook uno, se non il principale, evento dell’anno. Sorretto da interpretazioni magistrali – tra cui c’è da citare quella da Oscar di Jesse Eisenberg, ambigua, reticente, sottilmente sfumata – questa peculiare versione moderna di Quarto Potere ha fatto furore presso il grande pubblico nonostante l’antipatia manifesta dei protagonisti e quell’aria di indecifrabilità che pervade tutto il film.

Altro evento dell’anno, per ragioni del tutto extracinematografiche, è stato L’uomo nell’ombra, l’ultima opera di Roman Polanski. Il regista polacco, infatti, si è visto coinvolto nella riapertura del processo per stupro avvenuto ormai 33 anni fa: tra le dichiarazioni della vittima che perdonava il presunto reo, appelli di intellettuali per la sua liberazione, detenzioni in Svizzera, rilasci su cauzione e richiesta di estradizione rifiutata, il suo caso ha tenuto banco per molti mesi. La vicenda è ancora controversa, e le tante implicazioni (giochi di potere, la distinzione tra giustizia pubblico e perdono privato, il peso del tempo sulla gravità di un reato) rendono molto difficile dare un giudizio in merito. Più semplice invece affermare che il film con Ewan Mcgregor, nel quale Polanski ha trovato il volto adatto per incarnare il suo distintivo mix di paranoia, quotidianità, curiosità morbosa e fascinazione per il male, si è rivelato un’ottima pellicola, divisa tra riflessioni generali e metafisiche sulla pericolosità del potere e attacchi mirati verso la politica filo-Usa della Gran Bretagna di Tony Blair.   

Totalmente agli antipodi per obiettivi e atmosfere è stato I mercenari, ritorno in grande stile di Sylvester Stallone all’action più becero, immediato e leggero. Il film, secondo ciò che dicono gli appassionati, ha segnato anche l’ufficiale candidatura di Jason Statham a re dei film d’azione, promossa appunto dall’ex Rocky. La pellicola è stato un bel regalo per tutti coloro che al cinema non chiedono altre che delle deflagrazioni immani, cannoni giganti, bodycount a tre cifre, tanto testosterone e arti spezzati come se piovesse: tutti gli altri, inorriditi, avranno preferito evitare, ma anche questo, dopotutto, è spettacolo.

Diviso tra action, commedia sentimentale indie e puro fumettone cinematografico, lo straordinario Scott Pilgrim vs the World è stato uno dei film più bistrattati dalla distribuzione, rimanendo nelle sale per un paio di settimane. Un vero peccato, dato che Edgar Wright ha fatto un lavoro meraviglioso nell’adattare per il grande schermo il fumetto di Bryan Lee O’Malley: combattimenti da videogame, riferimenti pop a dismisura, montaggio innovativo e dinamico, battute demenziali da ricordare a lungo l’hanno reso la perla dell’anno da recuperare in dvd o blu-ray, possibilmente con visione in lingua originale.  

Chiudiamo questa seconda parte (cui seguirà una terza dedicata al cinema nostrano, dato che le mie previsioni più ottimiste sulla lunghezza di questo post sono state disattese) con uno spazio rosa. Il primo film da ricordare, premiato da Tarantino a Venezia, è sicuramente Somewhere della figlia d’arte Sofia Coppola. Nonostante le altissime aspettative derivate non solo dal riconoscimento ufficiale, ma anche dal buon ricordo dei film precedenti, la pellicola si è dimostrata essere uno dei peggiori esempi di presunzione artistica del decennio: l’immobilità totale di storia, personaggi e idee invece che far nascere un sentimento di spleen nello spettatore è riuscito solamente ad annoiarlo mortalmente. La ricerca tematica della Coppola è giunta ad un punto estremo, inutile negarlo, si spera quindi possa tornare ai fasti di un tempo, quando con Lost in Translation cercava ancora di comunicare col pubblico.  

Ultimissima segnalazione, sempre in rosa, per Bright Star, il capolavoro di Jane Campion che mi ha fatto considerare quanto enorme fosse la mia idiozia per non avere mai visto altri suoi film. I pochi fortunati che hanno potuto gustarselo hanno trovato una splendida ricostruzione d’epoca, dei paesaggi filmati con grandissima sensibilità e una storia d’amore delicata e drammatica allo stesso tempo, in grado di trasferire per immagini la poesia del grande John Keats. Urge per i più fanatici rivederlo anche in inglese, per assaporare meglio la dizione e la recitazione della meravigliosa Abbie Cornish.

Non perdete l’ultima puntata dedicata al cinema italiano!

Scritto da Style24.it Unit

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