Che bella giornata, Checco Zalone: record di incassi per un film ambiguo

Partiamo subito dalla questione più spinosa: Che bella giornata, secondo film di Pasquale Luca Medici, in arte Checco Zalone, ha polverizzato ogni record di incassi in Italia; attualmente le cifre si attestano attorno ai 31 milioni di euro, ma è molto probabile che questa cifra sia destinata a crescere, essendo uscito solo da 12 giorni. Nei primi due giorni ha addirittura superato il bottino raggranellato da Avatar, che dalla sua aveva la maggiorazione del biglietto dovuta all’uso del 3D, mentre per quanto riguarda l’incasso totale ha già infranto di poco il record di La vita è bella di Benigni.

Con queste premesse in testa mi sono dunque recato al cinema a vedere la pellicola preferita dagli italiani, probabile indice della comicità che dovrebbe andare per la maggiore nel nostro Paese. Non seguendo particolarmente la comicità seriale tipo Zelig o Colorado Café il personaggio Checco Zalone (nome preso di peso dall’espressione barese “che cozzalone”, che significa cafone) mi era di certo non sconosciuto ma neanche così familiare. Avevo comunque avuto modo di saggiare i suoi sberleffi caratterizzati da giochi verbali, finte sgrammaticature, battute sulla cafonaggine e il malcostume degli italiani, proposti sia in modo raffinato che più “di pancia”.

Com’era facile prevedere il film non è un capolavoro, non fa neanche scompisciare dalle risate (ma, ancora una volta, eravamo in pochi a non ridere a qualsiasi battuta di Checco Zalone), né la trama è poi particolarmente interessante. Ma, e qui forse sta il fulcro della faccenda, è un film che si lascia guardare, qualche momento divertente c’è, così come. in fondo in fondo, anche quel minimo di intreccio che impedisce alla pellicola di trasformarsi in una sequela di gag scollegate una dall’altra.

Il film prende le mosse dal desiderio del protagonista (stesso nome d’arte dell’attore) di divenire un addetto alla sicurezza, o, per dirla alla sua maniera, di “fare sicurezza”. L’occasione si presenta sotto la forma di una raccomandazione di un vescovo interpretato da Tullio Solenghi, più preoccupato di sistemare le proprie pecorelle che di guidarne il cammino spirituale. Dopo svariati tentativi falliti, a causa della sua maleducazione, imbecillità o semplice pigrizia, Zalone viene posto a guardia della Madonnina del Duomo di Milano: qui, adocchiato da una ragazza araba e da suo fratello, diventa oggetto delle mire di Farah, che lo vorrebbe rendere l’inconsapevole artefice di un attacco esplosivo al simbolo di Milano. Tra goffi corteggiamenti, visite a parenti, confronti tra religioni e modi di vivere, Checco Zalone farà riscoprire a Farah l’ottimismo e la gioia di vivere, sviandola dal suo proposito dinamitardo.

Come si diceva in apertura, nel film convivono sia situazioni fastidiosamente irritanti, quali ad esempio la comicità vecchia di centinaia d’anni degli spruzzi d’acqua o delle caricature (si veda il pessimo finale con il sosia del Papa, preceduto invece da un pre-finale originalmente amaro), sia trovate genuinamente divertenti, quali ad esempio il rapporto con l’amico-confidente Giovanni (Luigi Luciano, del gruppo di Maccio Capatonda), o il modo in cui vengono sbeffeggiate certe striscianti convinzioni nostrane, ignoranza e razzismo in primis. Non vengono lesinate neanche alcune, rare, stoccate ad argomenti molto scottanti, come l’intervento militare italiano in Afghanistan, descritto come un modo per pagare il mutuo e restare lontani da una casa decisamente poco ospitale.

Stesso ragionamento può essere fatto anche per il protagonista, a volte simpatico nella sua idiozia, a volte irritante nella sua cafonaggine: può essere visto come una maschera satirica, un travestimento per fustigare certi costumi, ma a volte viene il sospetto che l’indulgenza sia troppo grande; alla fine della fiera non è che tutta una serie di problematiche, si pensi alle raccomandazioni o alla supposta superiorità culturale italiana, vengano convalidate, invece che osteggiate, proprio perché proposte in maniera tanto simpatica? Il rischio, quando si sceglie la strada della comicità facile e leggerissima, è proprio quello della tacita connivenza. Lungi da me accusare Zalone di disonestà intellettuale, ma sono riflessioni doverose e da proporre, soprattutto quando si pensa all’ampiezza della platea che ha assistito e assisterà a Che bella giornata.

Scritto da Style24.it Unit

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