Carceri femminili in Italia: le ingiustizie tra mestruazioni e figli

Evelyn Novello

Nata a Milano nel 1995 e laureata in Comunicazione pubblica e d'impresa. Nel 2016 mi sono avvicinata al mondo del giornalismo e da quel momento non più smesso di scrivere.

Tag: donne
Condividi

Il parlare di carceri femminili porta con sé l’esigenza di affrontare svariati temi collegati.

I bambini, ad esempio, che devono crescere o senza la figura materna o anch’essi dietro le sbarre. Senza dimenticare poi gli abusi, le violenze e il sessismo che le detenute devono sopportare ogni giorno. In Italia le donne in carcere sono solo il 4% dei detenuti totali ma non per questo dovrebbero meritare meno attenzione.

Carceri femminili in Italia

Iniziamo con qualche dato. Secondo i dati forniti dall’Associazione Antigone, che si occupa di tutela dei diritti nel sistema penale, nel 2018 su un totale di 58.163 detenuti presenti nelle carceri italiane, le donne erano 2402, circa il 4,12%.

I numeri sono stabili dagli anni 90, con piccoli oscillamenti che vanno da un massimo del 5,43% nel 1992 a un minimo del 3,83% nel 1998. Sostanzialmente i reati per cui sono detenute le donne sono soprattutto quelli contro il patrimonio, contro la persona e riguardo al traffico di stupefacenti, a seguire ci sono poi i reati contro l’amministrazione della giustizia e pubblica amministrazione. Per quanto concerne invece il grado di giudizio, sempre secondo i dati del 2018, sulla totalità dei detenuti, il 34% del totale non ha mai ricevuto una condanna definitiva e questa percentuale cresce se guardiamo i dati riferiti alle donne straniere: su 904 donne straniere in carcere, 381 sono solo imputate, circa il 42,14%.

Ma le disparità nell’utilizzo della custodia cautelare non sono le uniche rilevabili.

Le norme sull’ordinamento penitenziario recano pochissime disposizioni sulla detenzione femminile, forse perché numericamente le donne sono sempre state una minoranza. Gli istituti di esclusiva detenzione femminile in Italia sono appena cinque: Empoli, Pozzuoli, Roma “Rebibbia”, Trani, Venezia “Giudecca”, invece, nel resto d’Italia, la loro detenzione è affidata a reparti ad hoc, 52 in tutto, all’interno di carceri maschili.

Nelle carceri esclusivamente femminili, chiaramente, alle donne sono riservate condizioni di vita più attente alle loro esigenze, ma, anche in questi casi, si sono presentate problematiche relative al sovraffollamento, alla carenza del personale e alla mancanza di mediatori culturali per le straniere. Nei reparti femminili degli altri istituti carcerari però, la situazione si complica, in particolar modo per le donne con figli.

Leggi anche: Chi era Lisa Montgomery, la donna giustiziata negli USA dopo 70 anni

Secondo i dati forniti dalla sezione statistica del Dap, al 2014 erano presenti negli istituti penitenziari italiani in tutto 58 madri con 70 bambini, quasi equamente distribuite tra italiane (27 con 34 figli al seguito) e straniere (31 con 36 figli).

La legge 62 del 2011 ha creato strutture concepite proprio per ospitare le detenute con i loro figli, per offrire loro una condizione di vita più “normale”, così che anche i piccoli non soffrissero né la separazione dalla mamma né la detenzione di un carcere. Il primo ICAM, Istituti a Custodia Attenuata per Madri, era stato costruito in via sperimentale nel 2007 a Milano e altri ICAM sono stati recentemente aperti a Venezia e a Torino, ma il loro numero, così come quello degli asili nido all’interno delle sezioni femminili, è ancora altamente insufficiente.

Permangono, inoltre, problematiche tutte femminili nelle carceri italiane come quella che riguarda l’igiene. Soprattutto nel periodo delle mestruazioni le donne hanno una maggiore necessità di pulizia personale ma molte carceri non offrono neppure il bidet alle detenute e, spesso, nemmeno la possibilità di una doccia calda. A questo proposito va poi detto che l’amenorrea, ovvero l’assenza di mestruo, è uno dei primi sintomi delle detenute. A queste difficoltà pratiche si aggiungono, come spesso accade quando si parla di donne, problemi culturali legati a stereotipi diffusi da tempo.

Vige ancora l’associazione della donna detenuta a quella di una prostituta, di una cattiva madre e moglie che deve restare in carcere per essere “rieducata” ai ruoli legati alla famiglia. Stupri e violenze sessuali poi non mancano, sia in Italia che nel resto del mondo. Metà delle detenute americane avrebbe dichiarato di esser stata abusata sessualmente e nel 2019 Amnesty International ha denunciato casi di stupri su donne e minori da parte di agenti di sicurezza e altri detenuti nelle strutture penitenziarie di alta sicurezza nello stato del Borno, in Nigeria.

Questo nonostante le norme minime standard dell’ONU per il trattamento dei detenuti adottate nel 1955 stabiliscano che uomini e donne debbano essere tenuti separati e che il personale delle carceri femminili non possa essere maschile.

Leggi anche: Violenza psicologica: cos’è, come riconoscerla e come uscirne