Bar Sport: trailer e recensione del film in uscita il 21 ottobre

Recensione in anteprima dell’atteso Bar Sport, film tratto dall’omonimo libro cult di Stefano Benni. Solo su Blogosfere Spettacoli

Bar Sport è una commedia garbata tratta dal libro omonimo di Stefano Benni, un cult per almeno un paio di generazioni. Personalmente non l’ho letto ma mi si dice che faccia sbellicare dalle risate e che racconti in maniera divertente la vita di provincia, a metà tra il surreale e l’osservazione satirica.

Orbene, la chiave per comprendere che tipo di film sia Bar Sport sta tutta in quel “garbato”, aggettivo usato con notevole soddisfazione dallo stesso scrittore dopo aver visionato la pellicola, per distinguere l’opera dalla volgarità che infesta la televisione e il cinema italiano.

Il film è una commedia corale, interpretata tra gli altri da Claudio Bisio (fresco del successo di Benvenuti al sud), Giuseppe Battiston, Antonio Cornacchione, Antonio Catania, Angela Finocchiaro, Lunetta Savino, Aura Rolenzetti e i cameo di Teo Teocoli e Claudio Amendola. L’ambientazione è quella di un paesino di provincia degli anni 70, e più precisamente il bar del titolo rappresenta la location principale, il luogo in cui avvengono e sopratutto si raccontano tutte le vicende che costellano la trama.

L’intreccio infatti è prettamente episodico, e si districa attraverso una fitta serie di racconti di eventi che mai fanno crescere o modificano i personaggi, semmai ne dovrebbero delineare le caratteristiche e le psicologie. Ma qui possiamo riconoscere il primo lato storto del film: in una narrazione corale è molto importante definire per bene chi sono i protagonisti e a quali tipologie psicologiche appartengono, in modo da rendere più definite le situazioni in cui essi si troveranno; in Bar Sport questa descrizione è molto labile e rende piuttosto fantasmatici e informi i vari attanti, riconoscibili unicamente per quei pochi tratti offerti in apertura di film.

Questa difficoltà nell’immedesimazione e nell’empatia verso i personaggi è particolarmente grave quando ci si accorge che la regia di Massimo Martelli imbocca una strada che non è quella del registro comico (e infatti si ride molto raramente, anzi si sorride a denti stretti) quanto piuttosto quella dell’elegia un po’ surreale, a metà tra Avati e – un paragone un po’ improprio – Jeunet, quello di Amelie.

Insomma, il film funziona, in parte, quando si respira aria di poesia, di nostalgia, di rimpianto per i tempi che furono e significativo è il fatto che i momenti migliori si registrano quando la narrazione delle balle da bar è affidata direttamente alle parole di Benni, recitate dalla voce di Claudio Bisio e visualizzate attraverso un’animazione piuttosto naif ma efficace. Non all’altezza, purtroppo, gli altri interventi di animazione digitale, che più che Nichetti ricordano dei brutti telefilm americani di serie B a budget ridotto.

Allo stesso modo non sono all’altezza gli interpreti, ingabbiati in un copione che non permette loro di entrare in empatia con lo spettatore né di giocare la carta della simpatia. Se aggiungiamo che il ritmo del film barcolla come un ubriaco, senza alcun andamento preciso, possiamo comprendere quanto scarse siano le stille dell’ironia del libro che bagnano la pellicola della sua trasposizione cinematografica.

Un’occasione sprecata, visti i (tanti) nomi in ballo: purtroppo sembra che una via mediana tra i due estremi della volgarità e della seriosità non sia ancora alla portata del cinema italiano, salve rare e preziose eccezioni.

Scritto da Style24.it Unit

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