Zero Dark Thirty: trailer trama recensione film su morte Bin Laden

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Un vero e proprio capolavoro di suspense e ricostruzione accurata di un’investigazione durata un decennio.

Firmato Kathryn Bigelow

Come fu che la superpotenza mondiale degli Stati Uniti riuscì finalmente a catturare e uccidere (per chi crede a questa versione) il nemico pubblico numero 1, l’organizzatore degli attentati dell’11 settembre alle Torri gemelle, il leader di Al Qaeda Osama Bin Laden.

Ce lo racconta in Zero Dark Thirty Kathryn Bigelow, che assieme allo sceneggiatore e produttore Mark Boal, col quale realizzò il premio Oscar The Hurt Locker, ha raccolto una mole immensa di materiali tra documenti riservati, nastri da sbobinare e interviste con i protagonisti della vicenda (il cartello all’inizio della pellicola ci informa che il film è tratto da “resoconti di primo mano di fatti realmente accaduti”).

E, ancora una volta, la regista più agguerrita di Hollywood – dire “mascolina” sarebbe farle un grave torto – decide che un approccio documentaristico misto alla grammatica del film d’azione sia il modo migliore per raccontare le pieghe della Storia (quella con la “s” maiuscola) che tuttavia rimane sempre in bilico tra versioni ufficiali e ricostruzioni finzionali alternative e parallele.

L’opera della Bigelow (candidata nuovamente agli Oscar come miglior film, miglior attrice protagonista – Jessica Chastain, migliore sceneggiatura originale – Mark Boal, miglior montaggio e migliori effetti sonori) era nata inizialmente come pure fiction, basata intorno a una missione fallita dei Navy Seals avente come obiettivo la cattura di Bin Laden. Gli eventi hanno poi ribaltato questa prospettiva, costringendo la regista ad adeguarsi alla realtà.

Quello che si vede sullo schermo, tra salti temporali, interruzioni e pause, è la metodica, ossessiva, disperata ricerca che porta la protagonista Maya a scovare il nascondiglio del terrorista afghano dopo dieci anni di lavoro. Il personaggio viene tratteggiato dalla stupefacente Jessica Chastain come se fosse una novella Giovanna D’Arco, e proprio alla stregua di una novella pulzella d’Orleans la sua è un’ossessione che diventa quasi una professione di fede, un compito affidatole dal destino che si scontra (ma a volte combacia) con un mondo maschile dal quale viene isolata e si isola volontariamente, intenta com’è a profondere tutte le sue energie in un’unica direzione, trascurando del tutto vita sociale e privata.

Indefessa, infaticabile e tenace, nel corso del film Maya appare trasfigurata dall’ansia, dall’attesa, dalla tensione causate da un compito che sembra poggiare quasi interamente sulle sue spalle, nonostante sullo schermo vediamo sfilare una lunga processione di figure che svolgono per lei gli incarichi sul più pericolosi, e più stremanti per lo spettatore.

La differenza tra la novellina della CIA che riceve il suo battesimo di fuoco in una sessione di interrogatorio con tortura e la provata professionista che piange commossa per l’esito della missione, ma anche angosciata per la fine di ciò che dava un senso alla sua esistenza, è notevole e questa trasformazione basterebbe alla Chastain per vincere l’Oscar cui è candidata.

Non che la Bigelow sia da meno, riuscendo a mantenere un ritmo invidiabile e al fulmicotone attraverso sequenze diversissime per natura e finalità: rendere avvincenti interminabili sessioni di dialogo tra membri dell’Intelligence, riuscire a trasmettere l’orrore delle sevizie cui vengono costretti i prigionieri allo scopo di reperire preziose (ma forse inaffidabili) informazioni, e infine costruire una mezz’ora d’azione e suspense totalmente in apnea è l’esito del talento di un grande maestro del cinema che padroneggia con efficacia più linguaggi narrativi.

Impossibile poi non menzionare il grande lavoro di montaggio e il sempre eccellente commento sonoro di Alexandre Desplat, ultimamente indiscusso protagonista delle sette note cinematografiche

In particolar modo vorremmo soffermarci proprio sulla lunga sequenza finale, che ricostruisce la missione del team speciale incaricato dell’assalto alla fortezza di Bin Laden. Esempio di un cinema muscolare che tende al realismo bellico ma senza dimenticare l’intrattenimento e la tensione, la scena si snoda in una notte completamente oscura, resa intellegibile solo dai visori notturni dei soldati e dalla rare luci della casa.

Con un’eleganza e una forza senza pari affianchiamo coloro che potrebbero perdere la vita da un momento all’altro per le supposizioni di una donna di cui si fidano ciecamente, nonostante la conoscano a malapena.

Inutili infine le polemiche che hanno investito il film all’uscita americana sull’uso della tortura nel film e su un presupposto effetto propagandistico: in Zero Dark Thirty non viene risparmiato né l’orrore dell’orrenda pratica, né il dubbio che si possa rivelare controproducente; persino il trionfo finale sembra il risultato di una serie di sacrifici di vite umane, di lavoro maniacale e di un notevole intervento della fortuna e del destino.

Non vi è esaltazione della macchina investigativa statunitense, ma solo curiosità e attenzione verso questa donna che riesce a trovare un proprio posto all’interno di una guerra tutta maschile senza perdere la propria femminilità, forse però al prezzo della propria anima e del proprio futuro.