Zombie movie con storia d’amore: sembra una fregatura.
E in effetti…
Curiosa la storia produttiva di Warm Bodies, che assomiglia sinistramente per coincidenze ed esiti a quella del nostrano Tre metri sopra il cielo.
Nato inizialmente come un piccolo racconto pubblicato su Internet (intitolato I am a Zombie Filled With Love) l’opera di Isaac Marion venne poi notata da una casa editrice tradizionale che invitò l’autore a estendere la narrazione allo scopo di arrivare al formato classico da romanzo, dato poi alle stampe proprio con lo stesso titolo del film.
Descritto come una storia d’amore zombie con allusioni alla tragedia di Romeo e Giulietta, il film diretto e scritto da Jonathan Levine tenta di infilarsi esplicitamente nel mercato spalancato dalla saga di Twilight, quello dei melodrammi sentimentali speziati da afrori soprannaturali. All’impossibile amore tra vampiri e uomini, con un terzo vertice del triangolo costituito dai lupi mannari in calore, in questa pellicola si sostituisce la relazione tra Juliet (l’australiana Teresa Palmer), e il non morto R che non si ricorda il resto del nome (Nicholas Hoult).
Lo scenario è la solita post-apocalisse zombie, con gli essere umani asserragliati in pochissimi spazi urbani sicuri e i diversamente defunti a dominare incontrastati il territorio rimanente. In missione di avanscoperta per conto del padre, il generalissimo tutto d’un pezzo che ha l’incarico di mantenere accesa le speranze della civiltà (un John Malkovich ai minimi storici d’impegno), la giovane Juliet scampa miracolosamente al massacro per mano del gruppo di mostri in cui è presente anche R.
E ora il colpo di scena. Quest’ultimo è unico nel suo genere, una creatura molto sensibile dotata di un barlume d’intelligenza, che soffre di solitudine per la sua incapacità di esprimersi e che cerca di ricordare disperatamente la sua vita precedente. Dopo aver mangiato il cervello del ragazzo di Juliet ne assorbe anche i ricordi (efficace la messa in scena dei flashback) e – come per magia – si innamora della ragazza, la salva dalla fame dei compagni e la nasconde con sé nel rifugio aeroportuale in cui si annida il branco.
Da qui in avanti si sviluppa la più classica delle storie d’amore che, tra incomprensioni, incompatibilità ontologiche e difficoltà di comunicazione, arriverà allo zuccheroso lieto fine.
L’idea dello zombie umanizzato non è nuova al cinema, c’è una buona filmografia a riguardo (al volo vengono in mente l’indipendente Fido, ma anche il Bub del Giorno degli zombi e il Big Daddy de La terra dei morti viventi), e in questo caso il tema è portato su grande schermo in modo pretestuoso; al contrario quella degli zombie disumanizzati, gli Ossuti privi di legami con la propria condizione di viventi, rappresenta una ventata di novità che poteva essere sfruttata molto meglio e che invece viene lasciata come puro artificio narrativo atto a unificare le divergenze.
Ma sopratutto, in un film che in fondo è solo una storia romantica per teenager con qualche sfumatura romantica, il mostro ha le fattezze, il comportamento e il ruolo di un giovane modello che casualmente si ritrova con del make-up emoglobinico in viso e un bizzarro hobby alimentare a base di cervelli freschi. In Warm Bodies infatti non viene mai affrontato il tema e la problematica della diversità, presto superata in nome di un ipocrita quanto esangue elogio del sentimento che travalica ogni separazione.
A costo di essere tacciati di fanatismo (o di consapevolezza) preme segnalare la grave scorrettezza di carattere ideologico: ci si appropria di una figura mitica e dai molteplici significati come quella del morto vivente al puro scopo di depotenziarla, normalizzarla e renderla l’ennesima icona di una cultura pop che ha perso qualsiasi senso del proibito e del perturbante.
Ma, è inutile negarlo, anche a voler vedere il film per quello che è e vuole essere, si troverebbero innumerevoli motivi di scontento.
Salvando la divertente parte introduttiva, la più efficace nel suo essere una copia per adolescenti di L’alba dei morti dementi, l’andamento narrativo successivo vorrebbe coprire una goffa metafora sull’uscita dalla depressione grazie a un nuovo amore, per poi trasformarsi nel più vieto dei melodrammi.
Il film purtroppo non regge che in parte le sue premesse, vittima di limitazioni auto-imposte e dell’inadeguatezza interpretativa dei protagonisti, nonostante una regia che offre anche qualche guizzo e un’inedita attenzione al particolare.
Insomma, anche come film d’amore Warm Bodies delude in quanto sciatta, infantile – nell’accezione peggiore del termine – e banale riproposizione di cliché che vorremmo esserci lasciati alle spalle, e non basta uno sparuto e alquanto ipocrita uso della distanza ironica per salvare le apparenze e rendere l’opera quel giochino post-moderno che in molti hanno riconosciuto tra le pieghe del film.
Tuttavia, ne siamo sicuri, alle ragazzine e agli spettatori meno esigenti piacerà (il film è già in testa al box-office americano) e ci ritroveremo disgraziatamente presto con spin-off e seguiti a profusione.