Enrico Silvestrin, Giorgia Wurth e Sandra Milo nel cast del film, da giovedì nelle sale
Sbandierato come il primo fantasy 3D della cinematografia italiana (non potendo esibire la coccarda del primato tridimensionale, conquistata dall’orrido Box Office 3D di Ezio Greggio), Una notte agli Studios altro non è che la riproposizione della struttura narrativa a livelli/ambientazioni tipica dei videogame, ingegnosamente giustificata tramite l’utilizzo dei set di Cinecittà.
Sembra appropriato allora che il secondo film di Claudio Insegno, qui anche interprete, assuma a pretesto dell’intreccio la salvaguardia del luogo simbolo dell’industria cinematografica italiana, proprio grazie al riutilizzo della tradizione più triviale e “di genere”, lasciando da parte per un attimo la novità tecnologica del caso.
La trama del film, infatti, vede i due protagonisti Filippo e Giorgio licenziati da un fiction televisiva per un pasticcio combinato sul set.
La coppia, comparse di professione, accettano allora di sottoporsi a un provino misterioso. A Cinecittà conoscono Mr Frame, un produttore americano deciso a far chiudere gli studios per trasformarli in un parco a tema, e la giornalista Sandra, che inizia a seguirli per realizzare un documentario su di loro.
Arrivati per caso in un deposito di scena, al trio viene affidata da un custode una missione pericolosa, improbabile, e insieme molto importante: dovranno entrare in possesso dei fantomatici “quattro elementi” per salvare il tempio del cinema italiano.
Inizierà così un’avventura che li porterà a recitare in un film storico, una pellicola di gangster, un horror, un dramma storico ambientato nel Medioevo e molto altro…
Il regista ha affermato di aver voluto realizzare questo progetto per coprire una mancanza della filmografia italiana, ovvero l’assenza di un filone di commedie pure:
“L’intenzione autoriale dell’intero progetto è mossa e determinata da un’esigenza, spesso chiamata speranza, di creare anche in Italia un genere che è stato sempre bistrattato, come quello del ‘nonsense’.
Infatti, il tono ‘folle’ è stato ben espresso soprattutto dal cinema americano o inglese. Invece, in Italia, le lezioni dei grandi maestri della commedia hanno influito nel nostro sviluppo professionale fino al punto di caratterizzare buona parte del bagaglio artistico della nostra generazione.
Ma tutto questo sembra aver lasciato il posto ad un cinema che spesso preserva poco spazio alla leggerezza, una leggerezza che, come il cinema americano ci insegna, risiede soltanto nella scelta contenutistica, e non in quella stilistica.”