Immagino nessuno di voi sappia chi sia Mokele Mbembe – e in effetti ne ero all’oscuro anche io fino a qualche minuto fa.
Trattasi di una creatura mitica, il cui status scientifico è paragonabile allo Yeti o a Nessie del lago di Loch Ness, che vivrebbe nel Congo e alla pari del cugino scozzese assomiglierebbe a una specie di Brontosauro arrivato incolume fino ai nostri giorni.
The Lost Dinosaurs, la pellicola al cinema in questi giorni che viene paragonata (forse un po’ incongruamente) a Jurassic Park, prende avvio proprio a partire dalla ricerca di questo essere misterioso da parte di un gruppo di esploratori della British Cryptozoological Society – (pseudo)scienziati specializzati nel ritrovamento di animali la cui esistenza è comprovata solo e unicamente da indizi molto dubbi.
Particolarità del film, che potrebbe essere caratterizzato come un mix tra avventura esotica e horror contemporaneo, è l’utilizzo della tecnica del found footage.
L’opera infatti, almeno secondo la premessa fittizia, sarebbe il risultato del lavoro di montaggio operato su oltre 100 ore di riprese effettuate dal team di esploratori. Questi infatti risultano essere misteriosamente scomparsi e tutto ciò che rimane della loro missione è uno zaino ritrovato nelle acque di un fiume da due pescatori congolesi.
La storia prende dunque il via dalla decisione di investigare il mistero del Mokele Mbembe direttamente sul luogo degli avvistamenti. A capo della spedizione viene posto l’esperto Jonathan Marchant, il quale recluta un team di colleghi e una troupe cinematografica per documentare il lavoro di ricerca.
Sull’areo che porterà il gruppo in Africa si intrufola però il figlio di Jonathan, un quindicenne appassionato di tecnologia. Non si tratta dell’imprevisto peggiore, dato che l’elicottero precipita nel cuore della foresta e il pilota rimane ucciso nell’incidente.
Gli scienziati si ritrovano così da soli in un ambiente ostile: le loro ipotesi si rivelano giuste e presto diventano preda dei dinosauri che infestano la vallata sperduta…