Strani fenomeni televisivi: la destra riscopre il 68 e solo ai comici è permesso di attaccare Berlusconi

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Tra le migliori battute del bravissimo Maurizio Crozza c’è quella che descrive l’Italia come un paese sbagliato per molti, studenti, giovani, operai, ricercatori, ma sicuramente meraviglioso e ricco di opportunità per i comici.

Ha fin troppo ragione, nel senso che ormai in televisione sembra che i satirici siano gli unici autorizzati, o meglio tollerati, nel criticare il potere, e in particolare Silvio Berlusconi.

Prendiamo il Rubygate, tanto per stare nell’attualità. Fuori dall’Italia il caso è affrontato da tutte le principali testate giornalistiche, e i telegiornali più famosi del pianeta – come quello della BBC o della CNN – parlano esplicitamente di “scandalo sessuale”, di “minorenne coinvolta nei festini del premier” e di “Berlusconi nella bufera”.

Nei nostri notiziari invece è tutto un profluvio di condizionali, di “se”, di “forse”, di “ma”, di “presunti” festini e di prostitute che si trasformano miracolosamente in ragazze casa e chiesa.

Sarebbe impensabile assistere a una critica diretta, a una presa di distanza, all’argomentazione di un disagio o una perplessità: in ossequio alla concezione sovietica della par condicio ormai in voga i notiziari devono ridursi alla cronaca asettica da bollettino di guerra e i giornalisti al ruolo di portamicrofono del politico, soprattutto in Rai.

Le uniche eccezioni consentite sono quelle che violano la neutralità misurata col bilancino per assolvere o appoggiare Silvio Berlusconi, come dimostrano gli ormai famigerati editoriali di Minzolini.

Restano gli ospiti dei talk show, per adesso liberi di esprimersi e confrontarsi in un contradditorio sempre più confuso e incomprensibile, dove in genere ha la meglio chi urla di più e chi interrompe meglio l’avversario. Ma anche qua chi non sceglie un registro leggero e ironico, chi prova a fare un discorso serio sull’immagine indecorosa che emerge dalle serate di Arcore e dalla vita disordinata del presidente del Consiglio, viene subito catalogato come bacchettone e moralista o peggio come forcaiolo, giustizialista, giacobino e via dicendo.

Anzi di recente molti esponenti della destra hanno inaugurato un nuovo refrain incentrato sulla supposta ipocrisia di alcuni politici e intellettuali di sinistra, che da libertini si sarebbero trasformati, per attaccare Berlusconi, in castigatori della morale pubblica e inquisitori degni di Torquemada. Come se la sinistra italiana, che proviene dalla tradizione comunista e cattolico-democratica, si sia mai discostata, su certi temi, dal bigotto senso comune nazionale. E comunque dubito che anche il più estremista dei sessantottini abbia mai inteso parlare di libertà sessuale come possibilità di prostituirsi al miliardario o all’uomo di potere.

Straordinariamente comiche in questo senso le dichiarazioni di Santanché e compagne, pardon camerate, che in diversi salotti televisivi hanno ricordato lo slogan femminista degli anni Settanta – l’utero è mio e lo gestisco io – come prova del doppiopesismo della sinistra. Peccato che quella frase si riferisse alla lotta per l’aborto, non certo a una rivendicazione per la libertà di puttaneggiamento. Freud forse troverebbe l’equivoco preoccupante.

(Nel video: l’ultima esibizione di Crozza a Ballarò).